Castelmeteo. Un sito dedicato a Castelvetro di Modena,  meteorologia, arte, gallerie di foto antiche, moderne e la storia dell'antica fornace. A cura di Vinicio Cavallini


La Storia

 

Ecco alcuni passaggi, che mi hanno particolarmente colpito, del libro "L'ARGENTIERA il giacimento, la miniera, gli uomini" di Luciano Ottelli. Un documento frutto di una lunga ricerca, un'indagine unica nel suo genere. Tutte le foto sono "cliccabili".


 

 

PREFAZIONE
Sono tornato all'Argentiera dopo 36 anni come in un pellegrinaggio.
La consapevolezza di essere ormai uno sconosciuto, ha reso più commosso il ritorno in quei luoghi dove mio Padre lavorò per dieci anni.
Mi rivedo, liceale, giungervi con speranze, entusiasmi, sogni, per trascorrere lunghe vacanze, premio delle fatiche di un anno scolastico.
Tutto si ripresenta della vita passata, nonostante il desolante abbandono di oggi, di questa Borgata mineraria in cui hanno operato genti venute da paesi lontani e da cui poi le proprie sono state costrette a migrare con il cuore colmo di nostalgia.
Tutto rivivo di quel tempo con una intensità di cui, nei miei giovani anni, non avevo che una vaga e indistinta percezione.
Percorrendo le poche vecchie strade che ancora conservano tracce del passato, mi so-no tornati alla mente, p articolarmente vivi, volti, odori, suoni.
Tutto rivive di quelle estati assolate: la felicità di vedere la Famiglia riunita e il forte ricordo di mio Padre, di mia Madre e di mia sorella Anna Maria che oggi non ci sono più.
Rivivono i volti degli Amici di allora e le spensierate giornate passate insieme.
Rivive il profumo del bellissimo e pescosissimo mare e il ricordo di Angolino Massetti «vecchio lupo di mare» che mi fu amico e maestro di pesca subacquea.
Rivive il rumore assordante della laveria e dei frantoi vicinissimi alla nostra casa.
Rivive l'inconfondibile odore della blenda depositata nei silos nei pressi della spiaggia.
Rivivono i tanti volti delle persone che nelle serate estive, terminata la dura giornata di lavoro, riempivano la piazzetta Camillo Marchese e mi riportano a momenti di grande serenità.
Con l'esperienza maturata in tanti anni di studi specialistici e di lavoro, ho compreso appieno gli aspetti salienti della miniera che sono soprattutto capacità, costanza, fortuna e tante difficoltà.
E quando Nietta, amica di allora e di sempre, ammalata della stessa nostalgia, ha riu-nito un vecchio gruppo di amici, per la rinnovata Festa di Santa Barbara, ho capito quan-to fossi legato intimamente a quel piccolo mondo.
Questo incontro e la visita agli antichi e angusti luoghi di lavoro a Miniera Vecchia mi hanno spinto a descrivere i principali caratteri del giacimento e i grandi problemi del-la miniera, che vogliono essere una piccola testimonianza delle speranze e dei grandi sa-crifici affrontati dagli Uomini che hanno lavorato all'Argentiera.
Accompagno questa nota con un ricordo rivolto ad Essi e alle Loro Famiglie, ai miei Cari e a tutti gli Amici che ho avuto nella Borgata Mineraria.
 

                                                                                    LUCIANO OTTELLI
 

 


 


 

 

IL MINATORE
I minatori di una qualunque miniera, in una qualunque parte del mondo, sono acco-munati dalla stessa condizione dolorosa, umiliante e disperata e ben si adattano, anche per l'Argentiera, alcuni brani della lettera di accompagnamento al libro di poesie «BETH-GER: IL LUNGO DOLORE» di Manlio Massole, minatore iglesiente:
... «Per andare in miniera bisogna scendere. Sottoterra.
All'imbocco del pozzo si lasciano il sole e le nuvole, i boschi e le pernici. Si la-sciano le mogli e i figli. Solo Dio, forse, ci si porta appresso nella parte più inti-ma di noi se anch'Egli non ci abbandona laggiù fuggendo la materia più profonda.
Nel terribile mondo della roccia e del buio sopravvivono solo uomini di roccia e di buio che hanno necessità di dimenticare la coscienza di essere uomini che, se li coglie nel buio del lavoro, li spinge nel pericolo della fuga o della ribellione.
Da questo la necessità di riconoscersi, nelle otto ore di lavoro, materia pura ri-mandando l'umanità alle ore del riposo, all'incontro, ogni giorno meraviglioso e inaspettato, con la moglie e i figli» ...

 

 


Il giacimento, noto sin dall'antichità, fu oggetto di intense lavorazioni da parte dei romani e dei pisani come testimonierebbero alcuni reperti ritrovati sia nella zona di Mi-niera Vecchia, sia nella zona Piata.
Il conte Alberto Lamarmora nel suo «Itinerario dell'Isola di Sardegna» descrive l'Argentiera citando una serie di ritrovamenti effettuati nel 1865 entro un pozzo profondo 80 metri nella zona di Miniera Vecchia:
«Si trovò un mucchio di cadaveri da cui si raccolsero le fibule, ed armi che nota-vano un'epoca romana».
I ritrovamenti furono effettuati riprendendo i lavori entro i vecchi scavi. L'unico vec-chio pozzo che è ancora visibile è indicato nelle figure 6 e 7; esso è molto antico, come dimostra il rivestimento in pietrame, tuttavia è stato utilizzato anche in tempi più recenti come testimoniano i resti di tubazioni (acqua, aria compressa) presenti al suo interno.


Il Lamarmora riporta inoltre che nelle vicinanze dell'Argentiera «vi si scopersero for-nelli a guisa di piccole fornaci, e di più una quantità di scorie antiche che indicavano come l'antica miniera fosse in attività sin dal tempo dei romani-».
Altri antichi scavi sono testimonianza della attività mineraria medioevale (fine del 1200 inizi del 1300).
L'interesse degli antichi era focalizzato sulle mineralizzazioni a galena la cui ricchezza in argento consentiva agli abili fusori del tempo un notevole ritorno economico.
I toponimi dell'«Argentiera» e della «Piata» sono particolarmente significativi.
Nella seconda metà dell'800 si potevano ancora rilevare esattamente i vuoti relativi alla estrazione della porzione di giacimento più ricca in galena (e quindi di argento) men-tre restavano in posto le mineralizzazioni a blenda di nessun interesse per gli antichi.
Questi scavarono secondo i loro metodi una grande quantità di pozzi, alcuni dei qua-li raggiunsero profondità intorno ai sessanta metri dagli affioramenti.
Tali pozzi venivano approfonditi, seguendo la mineralizzazione, sino a quando que-sta era presente o insorgevano problemi di ventilazione dei cunicoli o di presenza di acqua.
Le notizie sui lavori antichi dell'Argentiera sono comunque frammentarie mentre, più complete, le troviamo dal 1867 in poi.
La storia della miniera, per quanto, riguarda la proprietà della stessa, può schema-tizzarsi come segue:

1867 - la miniera venne originariamente accordata in concessione per minerali di piom-bo argentifero e zinco alla Marchesa Caterina Angela Tola di San Saturnino con
R.D. 22.09.1867. Il vecchio piano del 1866, di cui le figure 8 e 9 riportano copia dell'intestazione e della planimetria ove sono riportati i lavori antichi, mostra l'u-bicazione della galleria Calabronis e del piccolo agglomerato di case che costitui-vano allora tutto il complesso della miniera;

1870 - la concessione passò alla Soc. An. Minière et Metallurgique Sardo-Belge con atto 13.3.1870;

1872 - divenne titolare della concessione la ditta Luigi de Lamine di Liegi con atto 17.09.1872;

1873 - la concessione venne ceduta alla Compagnia Generale delle Miniere con atto
30.04.1873;

1880 - si costituiva a Genova la Società Correboi con atto 6.7.1880;

1895 - la concessione pervenne alla Società An. delle Miniere di Correboi con atto 5.02.1895.

1929 - La Correboi, dal marzo 1929, passò sotto il controllo della Società Anonima Mine-raria e Metallurgica di Pertusola. Nello stesso anno, con D.M. 27.7.1929, alla Correboi venne affidata in perpetuo la concessione mineraria.

1963 - Anno della definitiva chiusura della miniera che, ininterrottamente, dal 1895 era stata gestita dalla Correboi.

All'atto della chiusura la situazione all'interno della miniera era rappresentata dalla sezione. In essa è riportato lo sviluppo della secolare attività minera-ria durante la quale si registrarono alti e bassi legati a fattori locali, ma anche a fattori di mercato nazionali ed internazionali.
 vedere.

La miniera è una attività industriale complessa e la sua struttura dipende da diversi fattori ma, essenzialmente, dalle caratteristiche del minerale da estrarre e delle rocce che lo contengono. Spesso si sviluppa su più cantieri a cielo aperto e in sotterraneo.
Le miniera iniziò a svilupparsi a cielo aperto e si estese ulteriormente con gallerie scavate a mezza costa che vennero iniziate dall'esterno, sul fianco della montagna, e raggiunsero il giacimento racchiuso in seno alla montagna stessa. Una volta giunti al giaci-mento, con opportune traverse, si delimitò la mineralizzazione.
Dove il filone affiorava, le gallerie vennero scavate lungo la sua direzione (gallerie in Direzione) mentre altre vennero intestate normalmente o quasi alla direzione del filone e spinte sino a tagliarlo trasversalmente (gallerie in Traverso Banco) quindi prosegui-te lungo la direzione per consentirne lo sfruttamento.


All'Argentiera esempi di gallerie in Direzione sono la GALLERIA RIETTO e la GALLERIA MARE , mentre l'esempio del classico Traverso Banco è for-nito dal primo tratto della GALLERIA CALABRONIS.


Tali gallerie, di altezza non superiore a 2 metri, si svilupparono pressoché in oriz-zontale con una debole pendenza verso l'uscita per favorire lo smaltimento di eventuali acque presenti e il trasporto verso l'esterno dei vagoni carichi di minerale abbattuto. Presero anche il nome di «LIVELLO» (livello +30, +50, ecc...) a seconda della quota di intesto riferita alla quota zero (livello del mare). Cioè la galleria Rietto o livello +30 ha il suo imbocco alla quota di 30 metri sopra il livello del mare.
Le gallerie, i pozzi e alcune strutture minerarie venivano spesso individuate anche con nomi propri, come ad esempio la stessa galleria Rietto, la galleria Calabronis, la mi-neralizzazione «Leopoldo», i gradini di coltivazione «Cherchi», «Tolu», ecc...
I livelli a diverse quote venivano collegati mediante «FORNELLI», che sono dei pozzi verticali o o inclinati (i più diffusi all'Argentiera data la pendenza del filone), a piccola sezione (m. 0.80 x m. 1,00) che servivano per il passaggio del personale (in tal caso erano attrezzati di scale) o per il getto di materiale (da un livello superiore a quello inferiore di «CARREGGIO» dotato di binari per il trasporto dei materiali su vagoni) o per ventilazione (assicurare il costante ricambio d'aria nei vari cantieri).


Si riporta per intero la descrizione che Quintino Sella fece del giacimento dell'Ar-gentiera nella sua relazione al Parlamento del 1870:
«Dai due distretti silurici d'Iglesias e di Monte Alvo passiamo a quello della Murra, nell'estremo NO dell'isola per descrivere il solo rappresentante, che tutt'ora si conosca in quella contrada, di questa classe di filoni caratterizzata dalla presen-za, come matrice, del Fahierz (1), che basta a farne sospettare l'importanza ri-spetto alla ricchezza argentifera.
Lo scisto di questo distretto è intersecato al Capo dell'Argentiera da un filo-ne della stessa denominazione, il quale ha la direzione N. NE., e passa poco lon-tano dal seno di mare detto Porto di San Nicolo; la sua inclinazione è di 45°-50° verso ponente.
Questo filone assai interessante è diviso in due zone denominate l'una FILONE DEL MURO o FILONE DI SAN ROCCO, l'altra FILONE DEL CADENTE o FILONE SOTTO L'ACQUA, le quali sono sensibilmente parallele fra loro e separate da una terza zona intermedia pressoché sterile. Una sezione fatta attra-verso la giacitura, nel gennaio 1869, da per composizione della medesima, a par-tire dal muro ovvero dalla parte inferiore, le seguenti suddivisioni:

1° FILONE DEL MURO o FILONE DI SAN ROCCO: blenda e quarzo con poca galena argentifera, spessore metri 2

2° Scisto duro » }

3° Argilla con noccioli di minerale » 7

4° Scisto in decomposizione con minerale » 2

5° Scisto duro » 0,70

6° FILONE DEL CADENTE o FILONE SOTTO L'ACQUA: blenda, galena argentifera, quarzo e Fahlerz » 3


Spessore totale » 9,70


Ma la zona intermedia (2, 3, 4 e 5) risulta per lo più formata da un insieme confuso di argilla e scisto in decomposizione, di poca resistenza, contenente mi-nerale disseminato e in grani.
La parte metallifera del filone San Rocco consta essenzialmente di blenda, la galena non figurandovi che allo stato di rare impregnazioni o di sottili vene senza continuità.
Il filone Sotto l'Acqua presenta in generale un miscuglio intimo di blenda, galena, quarzo e Falherz nel quale però presentansi qua e là concentrazioni del minerale piombifero quasi scevre di blenda.
La galena di questa giacitura è molto argentifera.
Gli antichi hanno coltivato questo filone, evidentemente per estrarvi i mi-nerali argentiferi, come la denominazione di capo dell'Argentiera e quella di rocca della Piata rimaste a quelle località indicano bastantemente. Vi si osservano gli spaziosi scavi mediante i quali venne estratta la porzione della giacitura più ric-ca in piombo, e lasciata invece la parte essenzialmente blendosa. Questi scavi scendono sino al livello della valle, cioè 60 metri sotto la sommità dei due pozzi ivi aperti dall'affioramento del filone.
Lo scolo delle acque veniva procurato mediante un cunicolo che spingevasi dal piano di essa valle fino all'incontro della massa metallifera per una lunghez-za di 80 metri.
Questa miniera era stata concessa nel settembre 1867 a donna Catterina Tola, marchesa di San Saturnino, da cui poscia passò alla Società detta Sardo-Belga, fondata con capitali del Belgio. Questa vi attivò tosto una buona ripresa dei la-vori, prendendo per base la galleria di scolo degli antichi, detta di SU CALABRONI (figure n. 18, 19, 20), che trasformarono in galleria di estrazione.
Superiormente al livello della stessa coltivarono i minerali ancora lasciati dagli antichi sopra una lunghezza di circa 300 metri e quindi per mezzo di poz-zetti interni presero a scavare sotto il livello della galleria stessa.
Stante la potenza della giacitura e la poca consistenza dello scisto incassante, che frana facilmente sotto l'influenza del contatto dell'aria e delle acque, tali lavori riuscirono assai costosi per la necessità dei riempimenti degli scavi fatti.
Inoltre, l'uno dei filoni, o, se vuolsi, l'una delle zone, essendo composta pres-soché di sola blenda con pochissima galena, e l'altra nella sua parte più ricca pressoché esaurita dagli antichi sino al livello della galleria di scolo, la società non trasse sinora gran vantaggio dei suoi lavori, limitati superiormente dalla poca ricchezza, dalle acque nella parte inferiore.
Spinta però dalla lusinga che il filone realmente presentava per ambe le zone ad una maggiore profondità, la Società decideva sotto l'abile direzione dell'ingegnere Gordinne di far affondare dall'esterno un grande pozzo destinato a tagliare il filone a 58 metri sotto il livello della galleria di scolo, e farne quindi un pozzo di estrazione e di esaurimento delle acque, in caso di risultato favorevole.
I prodotti della coltivazione di questa interessante giacitura sono la blenda
(proveniente specialmente dal filone San Rocco), i minerali misti di galena e blen-da e la galena, provenienti questi dal filone Sotto l'Acqua. Essi sono spediti nel Belgio, dove i minerali misti subiscono una speciale preparazione meccanica stabilita nelle vicinanze di Anversa.
Secondo le denuncio ufficiali della società coltivatrice, la media della ricchezza in argento dei prodotti piombiferi sinora ottenuti oscilla fra i 300 e i 350 grammi di argento per quintale di piombo contenuto.
Nell'anno 1869 erano impiegati in questi lavori circa 100 operai, dei quali la metà (manovali e cernitori del minerale) isolani.
I minerali scendono al porto di San Nicola sui carri a buoi del paese; e di là sono caricati da battelli di Alghero per Porto Conte, nella cui rada vengono a levarli i bastimenti destinati ad esportarli, con una spesa, messi a bordo, di lire 0,90 a 1 per quintale.
La necessità indeclinabile, se vuolsi proseguire la lavorazione, di provvedere all'impianto del grande pozzo colle necessario macchine per l'estrazione dei materiali e l'esaurimento delle acque e la difficoltà di trovare gli occorrenti ca-pitali dopo gli ultimi avvenimenti politici di Europa, induceva, nel secondo se-mestre del 1870, alla sospensione totale dei lavori di questa, del resto, interessante miniera-».
Si è voluta riportare per intero la relazione di questo prestigioso scienziato perché nella Sua breve descrizione è riuscito a far emergere tutti i caratteri salienti del giaci-mento e della miniera, che si manterranno pressoché simili nel corso di circa un secolo di lavorazioni successive.
Tra le varie costruzioni allora esistenti si riconoscono quelle di cui alle figure 22 e 23 mentre la scritta che segue è copia dell'originale tratta dalla carta in scala 1:500, fir-mata dall'ing. Alberto Enrile, risalente al 12 novembre 1878.
Si può notare che in quell'anno risultavano già scavate numerose gallerie: Rietto alla quota di 30 metri sopra il livello del mare; Calabronis alla quota di 50 metri sopra il livello del mare; Superiore alla quota di 70 metri sopra il livello del mare.
Risultavano altresì effettuate anche le gallerie che si affacciano sul mare e che se-guono la propaggine sud occidentale del filone, che quasi certamente prosegue in mare alle quote più basse.
Un altro particolare importante che può desumersi dalla stessa carta è l'indicazione precisa dei pozzi e delle coltivazioni (estrazione sistematica del minerale) effettuate da-gli antichi e delle gallerie, pozzi e coltivazioni effettuate dalla ripresa della miniera sino a tutto il 1878.
Si può infine rilevare che a quella data non esistevano ancora lavori a quote inferiori al livello del mare.
In alcuni punti dell'affioramento possono ancora riconoscersi i vecchi metodi di la-vorazione mineraria.


Scavo delle gallerie
Le modalità di scavo delle gallerie, nel tempo, si possono facilmente riassumere. In-fatti, dall'antichità sino alla metà del settecento la roccia dura veniva abbattuta con l'au-silio del fuoco. In prossimità della fronte di scavo, veniva acceso un grande falò che riscaldava fortemente la roccia sulla quale venivano lanciati dei secchi d'acqua che, ab-bassando repentinamente la temperatura, ne producevano la fratturazione e lo sgretolamento. Sulla roccia così modificata era possibile intervenire con il piccone e abbatterla. Sulla roccia tenera si interveniva direttamente con il piccone.
In miniera, nella seconda metà del settecento, cominciò ad essere usata la polvere nera e successivamente la cosidetta dinamite.
Per poter abbattere la roccia era necessario eseguire sulla fronte un dato numero di fori («fori da mina») secondo un certo schema, riempire tutti i fori con esplosivo e ac-cendere le micce ad esso collegate provocandone il «brillamento» (esplosione).
In gergo minerario tale operazione è nota come «VOLATA».
In passato il minatore batteva con una mazza su un ferro che aveva sulla punta un tagliente. Ad ogni colpo faceva ruotare il ferro stesso e periodicamente ripuliva il foro dai detriti che vi si accumulavano. Raggiunta la profondità prevista, passava alla perfo-razione di un altro foro sino al completamento dello schema prefissato. Spesso i minato-ri erano due (mazzacoppia).
I fori verso il basso venivano effettuati con la barramina, che consisteva nel solleva-re, facendogli fare una piccola rotazione, e lasciar cadere il lungo ferro (pistolotto) sul fondo del foro in perforazione.

Negli ultimi anni del secolo scorso, con l'utilizzo dell'aria compressa, fecero la loro apparizione le prime perforatrici che sveltirono il lavoro di perforazione dei fori. Le perforatrici furono perfezionate nel tempo.
 

Armamento
Per proteggersi dalle insidie della roccia che all'Argentiera si presentava spesso incoerente, alterabile all'aria e comunque staccante, il minatore provvedeva ad «Armare» le gallerie contrastandone la tendenza a franare e a chiudersi. Ciò avveniva utilizzando quasi esclusivamente legnami posti a contrasto delle pareti o a puntellare singoli blocchi delle volte. Con lo scavo delle gallerie in orizzontale, dei fornelli, dei pozzi e lo sviluppo delle coltivazioni, la tecnica di armamento in legno si estese intensamente all'utilizzo dei supporti completi, i cosiddetti «QUADRI».
I puntelli utilizzati all'Argentiera erano costituiti da tronchi di pino della Corsica con diametro variabile da 30 a 80 centimetri e quindi di dimensioni inusuali per le miniere sarde.


Coltivazione
L'estrazione sistematica del minerale contenuto nel giacimento è chiamata «COLTIVAZIONE» ed avvenne all'Argentiera con metodi diversi ma sempre con SISTEMI DI COLTIVAZIONE CON RIPIENA in cui ad uno spoglio anche parziale del giacimento, si fa seguire il riempimento del vuoto con materiali sterili.


Infatti le caratteristiche delle rocce incassanti il giacimento erano di tale fragilità e di tale predisposizione al franamento che i vari vuoti avevano tendenza a chiudersi in brevissimo tempo dal momento dello scavo.
Nella coltivazione con ripiena si procedeva sopra il materiale di riporto (ripiena) creando verso l'alto dei gradini che venivano abbattuti con le mine.


Il materiale della ripiena arrivava dall'alto attraverso apposito fornello; il minerale abbattuto veniva invece scaricato, sempre con apposito fornello, verso una galleria più bassa (GALLERIA DI CARREGGIO), munita di binario e posta alla base del fornello stes-so, per essere trasportato all'esterno. Pozzi
Quando il giacimento non fu più raggiungibile mediante gallerie scavate attraverso il fianco della montagna, si scavarono pozzi verticali profondi che vennero attrezzati con «GABBIE», speciali ascensori nei quali era consentito il trasporto del personale e dei ma-teriali.
Il pozzo principale di estrazione era il POZZO PODESTÀ dal nome del ba-rone Andrea Podestà, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Società Correboi. Esso fu intestato alla stessa quota (+30 metri s.l.m.) della galleria Rietto, aveva una sezione circolare con un diametro di metri 3,60 ed era completamente rivestito in mura-tura. La sezione era circolare per contrastare meglio le pressioni dei terreni circostanti costituiti da scisti degradati e da ampie fasce argillose.
Il guidaggio (2) per le gabbie era in legno con quadri ogni due metri; la macchina di estrazione, costruita dalla ditta Calzoni di Bologna, era a vapore con motore a due cilin-dri di 50 cavalli di potenza. I freni erano a vapore e a nastro, azionabili a mano e a pedale; i tamburi erano due, del diametro di 2 metri, metallici con doghe in legno. La fune metallica era a fili sagomati Felten e Guillaume a superficie esterna liscia. La velocità di estrazione era di 4 metri al secondo per i materiali e un metro al secondo per il personale.
Il castelletto di estrazione, in muratura e ferro, venne costruito con i mezzi della mi-niera. La gabbia era ad un piano ed era munita di paracadute (3) a ganasce.
Il pozzo era diviso in quattro comparti di cui due destinati alle gabbie, uno al com-parto scale e uno alle tubazioni dell'acqua e dell'aria compressa e al passaggio dei vari cavi.
Con la costruzione del pozzo, successivamente al 1890, venne iniziato il primo livello ad una quota al di sotto del livello del mare (il livello -5 chiamato anche livello Podestà).
Lungo il pozzo che metteva in comunicazione l'esterno con il sotterraneo si stacca-vano a varie profondità i diversi livelli, attrezzi di binario, su cui potevano scorrere i car-relli che, carichi di materiale, venivano portati all'esterno. Quivi, sempre su binario, i carrelli, spinti dall'uomo o trainati da muli, venivano inviati all'impianto (quando il ma-teriale estratto era costituito da minerale frammisto a quantità diverse di materiale ste-rile che prende il nome di GREZZO o TOUT-VENANT) o in discarica (quando il materiale estratto era costituito da materiale sterile).
All'estremo nord-est fu scavato il Pozzo Alda (figure 28 e 29} per seguire in profondità alcune ricche mineralizzazioni già coltivate dagli antichi sino alla profondità di 20 metri. (2) GUIDAGGIO: sistema di assi in legno disposti verticalmente lungo il pozzo che impediscono alla gabbia sensibili scostamenti dalla verticale. (3) PARACADUTE: sistema atto ad impedire che la gabbia precipiti nel pozzo in caso di rottura della fune.


Arricchimento del minerale
Il minerale esce dalla miniera generalmente frammisto a materiale sterile delle va-rie rocce che contengono il giacimento. Per poter rendere commerciabile il minerale oc-corre separarlo dal materiale sterile, ovvero occorre concentrarlo («arricchirlo»).
Nei primi tempi di vita della miniera tale «arricchimento» veniva fatto all'esterno da donne e bambini mediante «cernita a mano» cioè scegliendo manualmente, nel muc-chio, i blocchi di minerale molto ricco da separare.
Alla fine dell'800 RIMPIANTO DI ARRICCHIMENTO» esistente all'Argentiera, de-nominato anche «LAVERIA» in quanto il minerale veniva separato esclusivamente per lavaggio sfruttando le differenze di peso specifico tra i minerali e gli sterili ad essi con-nessi, aveva una struttura molto semplice.
La Laveria trattava 42-45 tonnellate di grezzo al giorno fornendo circa 18 tonnellate di minerale mercantile di cui 9/10 di blenda e 1/10 di galena. Gli sterili grossolani risul-tanti da tale processo venivano messi in discarica mentre i fanghi di lavaggio che nor-malmente vengono depositati in appositi bacini di decantazione, all'Argentiera venivano scaricati direttamente in mare.
Il minerale concentrato veniva caricato su barche a vela che attraccavano sulla spiaggia di San Nicola e trasportato a Porto Conte dove veniva trasferito su battelli che facevano rotta verso i porti del Nord Europa.


Fine '800
Alla fine dell'800 la miniera, sotto la direzione dell'ing. Daneri, assunse una certa organizzazione anche se persistevano le difficoltà di approvvigionamenti e di contatti con il mondo esterno. Nel 1893 venne assunto un medico, il dr. G. Beretta, e venne aperto un «piccolo ospedale» ad uso dei dipendenti della miniera. Si riporta copia della nota originale della comunicazione di quanto sopra fatta al Distretto Minerario da parte della Società di Correboi.
I lavori di coltivazione si svilupparono essenzialmente tra il livello -40 e il livello Po-destà (-5) mentre vennero esauriti i gradini di coltivazione nella vena «Leopoldo» tra il livello -5 e il livello Rietto (+30). Quest'ultimo livello, pur esaurito completamente, venne mantenuto aperto e in buone condizioni di stabilità per assicurare una normale venti-lazione della miniera.


Il livello -40 venne spinto in dirczione SW e vennero approfonditi alcuni pozzetti.
Nel 1897 il Pozzo Podestà raggiunse la profondità di 126 metri (-96 s.l.m.) attraver-sando il filone tra le progressive di m. 95 e m. 105 (rispettivamente m 65 e m 75 sotto il livello del mare).
Il livello Podestà (-5) venne scavato verso NE per comunicare con il Pozzo Piata e per ricercarvi nuove mineralizzazioni.
Il livello -40 venne spinto verso l'estremo SW mentre continuavano le coltivazioni tra lo stesso liv. -40 e il soprastante -5.
Dall'inizio dell'anno tutta la galena argentifera prodotta, che prima si inviava ad An-versa, venne inviata in stabilimenti nazionali.
Alla fine del secolo, dal Pozzo Podestà ebbe inizio lo scavo del livello -75 limitandosi ad avanzare verso sud ovest in quanto le ricerche effettuate a NE non diedero buoni risultati.
Gli scavi interessarono in prevalenza rocce franose. Ciò fu la causa principale dei gravi infortuni che si verificarono nella miniera.
Non si conosce la situazione degli infortuni nel periodo che precede il 1890, anno in cui la gestione della miniera passò alla Società Correboi.
«Dal 1890 al 1899 si verificarono all'Argentiera tré incidenti mortali e quattro inci-denti gravi causati da distacco di roccia» (S. Ruiu «L'Argentiera», 1966, pag. 267). Primi '900
Dai primi del '900 sino alla fine della prima guerra mondiale l'ing. Ottavio Garzena diresse la miniera e le diede un ulteriore grande sviluppo. Le figure 32 e 33 mostrano il centro dell'abitato nei primi anni del '900, anni in cui in sotterraneo si lavorava su diver-si gradini m coltivazione contemporaneamente sia al livello -40, sia al livello -75 II filone appariva ovunque ben mineralizzato e alcune coltivazioni avevano una larghezza sino a 12 metri.
Nel pozzo Podestà la macchina di estrazione venne sostituita con una della ditta Calzom-Tamburi della potenza di 50 CV, il castello di estrazione venne innalzato di sei metri raggiungendo l'altezza di 15 metri e le gabbie vennero munite di paracadute.


Alcuni infortuni dell'inizio secolo sono ben documentati nei rapporti ufficiali:

• il 6 ottobre 1902 alle ore 22,30 circa, all'interno del pozzo 00 (un pozzo interno che col-legava il livello -105 con il livello Podestà alla quota -5 ), il vagonista Cuccuru Salvato-re di Salvatore di anni 28 da Pozzomaggiore subì un infortunio.
Il Cuccuru aveva risalito le scale del pozzo per circa 35 metri. Dal livello -105 andava verso il livello -5 quando si sporse all'interno del pozzo (nel punto indicato con l'asteri-sco) restando ferito gravemente dal contrappeso che in quel momento scendeva a causa della risalita della gabbia a cui il contrappeso stesso era collegato.
L'infortunio costò al Cuccuru la frattura del braccio sinistro e il distacco quasi tota-le di un orecchio.
 

• II 19 dicembre 1902 alle ore 3,30, i due vagonisti Atzori Gavino e Pinna Pietro di Gio-vanni di anni 28 da Siamanna, dopo aver caricato un vagonetto con circa 800 Kg di minerale in una traversa della galleria Rietto, lo spingevano sulla piattaforma girevo-le per sistemarlo sul binario della galleria principale.
Il vagonetto era incernierato nel punto B. Esso uscì dai binari e il tentativo dei due operai di sollevarlo e rimetterlo sui binari si risolse con una rotazione della cassa intorno al punto B con conseguente rovesciamento di tutto il materiale contenuto nel vagone addosso al Pinna, che riportò la frattura del malleolo della gamba sinistra.



• II 7 novembre 1904 alle ore 17,30 si verificò un incidente in un avanzamento tra i livelli
-40 e -75.
Il minatore Contini Giuseppe di Francesco di anni 24 stava praticando una «MORTUA-
SA» (4) al PIEDE (base) della galleria quando venne colpito da un blocco di roccia sci-stosa staccatesi dalla «CORONA» (tetto della galleria).
Il Contini riportava la frattura della tibia e del perone della gamba destra.



Il 1907 vide un incremento dei lavori, ma l'attività mineraria fu funestata da due in-fortuni mortali:

• II primo avvenne il 22 maggio 1907 verso le ore 22,30 in un gradino di coltivazione all'interno della galleria a mare dove la Compagnia composta dai minatori RIOLI Leo-nardo (Capo Compagnia), FLORINI Gemignano e FALCHI Angelo era intenta alla costruzione di un muretto a secco.
I tre minatori si trovavano a distanza di pochi metri l'uno dall'altro quando ad un tratto, nel punto in cui lavorava Falchi Angelo, dalla corona della galleria si staccò un grosso blocco di materiale che lo colpì provocandogli la rottura della spina dorsale. Il Falchi morì poco dopo mentre gli altri due operai restarono illesi.
Venne accertata l'esistenza di una superficie levigatissima (scisto argilloso) che si tro-vava nella parte superiore e che avrebbe quindi favorito il repentino distacco e la ca-duta del materiale sterile.


Purtroppo la stessa situazione di grave instabilità delle rocce fu causa, a distanza di meno di un mese, di un altro infortunio mortale.

• II 16 giugno 1907 alle ore 7,45, nel gradino di coltivazione denominato «TOLU» sopra il livello -75, lavoravano i minatori ZARA Giò Maria di anni 39 da Florinas, LOI SIAS
Giuseppe di anni 43 di Noragugume e MANFREDINI Giuseppe fu Romualdo di anni
40 da Montevenere, che fungeva da Capo Compagnia.
Mentre cernivano il materiale abbattuto con la precedente volata, dalla corona si stac-carono improvvisamente circa 2 metri cubi di materiale argilloso scistoso del tetto del filone, inclinato in quel punto di circa 50°, che colpì gravemente alla schiena il mina-tore Manfredini Giuseppe che cessò di vivere alle ore 15 dello stesso giorno. I soliti piani di distacco, argillosi, lucenti e untuosi avevano favorito il distacco e la conseguente caduta della roccia. Il tratto di galleria che precedeva il punto dell'incidente era armato con puntelli di grossissimo diametro, 40-60 centimetri, segno di particolare instabilità e di pericolo di tutta la zona.


Il 1908 vide un ulteriore sviluppo dei lavori di approfondimento pozzi, di tracciamento di gallerie e di coltivazione. In particolare continuarono i lavori nella parte alta del giacimento coltivata dagli antichi con le gallerie a mare, Rietto, Calabronis e Superiore in cui si recuperavano le porzioni di filone lasciate in posto, costituite in prevalenza da blenda, e si recuperavano le ripiene anch'esse ricche di blenda che i vecchi coltivatori avevano trascurato perché non di loro interesse.
Nelle zone più basse risultavano in coltivazione numerosi gradini: CHERCHI e RAVANELLI tra il livello -40 e il livello Podestà (-5). Il primo era, al tempo, il più ricco della miniera e la sua prosecuzione verso il basso veniva considerata come la porzione del giacimento che da sola avrebbe potuto dar vita alla miniera per diversi anni; BUSIA, ROSSI, MARCEDDU, TOLU tra il livello -75 e il livello -40 in diverse aree della miniera.
Per riservare il pozzo Podestà alla estrazione del minerale, veniva approfondito dal livello -75 al livello -125 il pozzo interno denominato 00 che sarebbe stato utilizzato sia per la discesa del legname, sia per la discesa degli operai lungo il reparto scale.
Era il tempo in cui «si progettava di ingrandire la laveria per compensare il lavoro perduto nei giorni festivi prescritti dalla legge. Finora i giorni di riposo durante l'anno erano circa 10-11 in totale».
Il 16 giugno 1909 la galleria Superiore fu teatro di un nuovo infortunio.

• Alle ore 16,45 il minatore capo sciolta (5) SOLINAS Tomaso fu Angelo si apprestava a «disgaggiare» (rimuovere con appositi attrezzi il materiale che resta parzialmente stac-cato dalle pareti o dalla corona della galleria e che comunque si trova in condizioni di instabilità dopo lo sparo delle mine) la corona di un gradino, quando un pezzo di roccia si staccò dalla stessa corona colpendolo alla gamba destra e procurandogli la frat-tura della tibia, del perone e del malleolo.


Secondo decennio del 1900


I lavori eseguiti sino al momento consentono di definire meglio le caratteristiche del giacimento. La pendenza si mantiene sempre intorno a 45°-50° verso Nord-Ovest mentre la mineralizzazione non è regolare.
Infatti possono distinguersi tre zone principali:

— ZONA SUD OVEST: è costituita da due vene in affioramento e da una in profondità; presenta la massima potenza (spessore) fra il livello -40 e -75 e si raccorda alla zona centrale con un tratto di filone pressoché sterile;

—ZONA CENTRALE (MEZZERIA): è costituita in generale da due vene collegate da vene secondarie mineralizzate con direzione Nord-Sud che non si sviluppano oltre le vene di tetto e di letto; gli incroci tra le vene, quando esistono, sono marcati da intenso ar-ricchimento della mineralizzazione.
Anche in questo caso la maggiore potenza si sviluppa in affioramento dove le singole vene, aprendosi a ventaglio, danno luogo a coltivazioni parallele.
La ricchezza e la potenza diminuiscono generalmente verso il basso. La zona centrale
è collegata a quella di levante dalla galleria Podestà alla quota -5 metri s.l.m. che ha seguito un lungo tratto di filone sterile.

— ZONA LEVANTE (PLATA): Presenta poche tracce in affioramento mentre in profondi-tà la ricchezza aumenta a partire dal livello Podestà (-5) sino al livello -70.
La zona mineralizzata è ricca.
In sintesi allo stato dei lavori poteva dirsi che la potenza massima del filone si aveva all'affioramento della zona centrale, l'estensione e la potenza delle zone mineralizzate era variabilissima e si poteva ritenere di 4,50 metri come media con massimi di poten-za intorno a 8-9 metri. La fascia filoniana comprendente la mineralizzazione raggiun-geva in alcuni tratti spessori intorno a 30 metri.
La roccia incassante è quasi sempre formata da scisti di natura assai franosa eserci-tanti pressioni notevoli soprattutto in vicinanza del filone. Ciò ha obbligato ad effet-tuare notevoli lavori di armatura ed ha costituito sempre una situazione di pericolo per i minatori dell'Argentiera.
La ganga  del filone è essenzialmente quarzosa, talvolta con disseminazione di pirite e rara barite. La parte utile del filone è quasi completamente costituita da blenda, talvolta mescolata a quarzo. La galena argentifera si incontra in vene e venette ora iso-lata. ora nella blenda. Si presenta generalmente a struttura cristallina e a grana fine.
Tra i minerali associati, ma non in modo continuo, sono stati rilevati burnonite, stibi-na, pirite, calcopirite, limonile.


Gli anni seguenti videro lo sviluppo dei lavori in profondità con il persistere di alcu-ne situazioni particolari: — scarsità di presenza d'acqua in sottosuolo con eduzione (7) di circa 80 metri cubi d'ac-qua al giorno; —enorme consumo di legname per armamento.
Non si ha notizia di infortuni gravi. Solo qualche incidente legato a disattenzione.
Vennero studiati e applicati nuovi sistemi di carico dei minerali sui barconi e quindi sul vapore alla fonda nella rada. I lavori minerari alla quote superiori al livello Rietto si ritennero esauriti, però si man-tenne aperta la galleria con l'uso di armature molto robuste (quadri distanziati di 50 cm aventi diametro variabile da 60 a 80 centimetri).
Per fare il punto sull'andamento delle ricerche in profondità a levante del Pozzo Po-destà si riporta uno schema  e alcune considerazioni dell'ing. Taricco (8) rela-tivamente allo sviluppo della mineralizzazione ai diversi livelli nel corso dei primi mesi del 1913:


«... pare che la colonna prometta assai bene: trovata al livello Podestà (-5) e al livello intermedio (-40) andò ispessendosi al livello -75 che trovò una seconda zo-na «B»; al livello -125 le due zone sono riunite e ispessite, cosicché si prevede al livello -175 uno spessore rilevante».
Il Taricco rileva ancora che «Le ricerche sotto il livello -125 non venivano spin-te con premura, avendosi ancora molti cantieri superiori da coltivare e piutto-sto deficienza di minatori che, imparato il mestiere, emigrano».

Incendio
I primi mesi del 1914 furono caratterizzati da una lunga fermata dovuta ad un vi< lento incendio che si sviluppò all'interno della miniera favorendo il crollo di numeros gallerie e mettendo a rischio la vita della miniera stessa. Vale la pena di riportare l'intera nota che il Direttore di allora, l'ing. Ottavio Garzena, inviò al Distretto Minerario e Iglesias in data 24 aprile 1914 relativamente all'incendio sviluppatesi nei lavori interni della Miniera il giorno 1 febbraio 1914:
«Il mattino del lunedì, 2 febbraio alla ripresa del lavoro dopo il riposo domeni-cale, trovammo preclusi tutti gli accessi ai lavori interni da un fumo denso ed asfissiante. Dopo numerosi e pericolosi tentativi, manovrando rapidamente le gabbie del Pozzo Podestà, si riuscì a raggiungere il livello più profondo, 155 (-125), e ad accertarsi che il fumo proveniva dai cantieri a Ponente del Pozzo. Con squadre di operai susseguentesi ogni quattro o cinque minuti, direttamente sorvegliate dal personale tecnico, si provvide rapidamente e successivamente alla chiusura a ponente del Pozzo principale dei livelli 155 (-125), 105 (-75), 70 (-40) e Podestà (-5) e contemporaneamente a quella dei livelli Mare (+10), Rietto (+30) e N. 2 o Calabronis che sboccano a giorno.
Il giorno seguente, spostando successivamente le chiusure verso ponente nei li-velli -125, -75, -40 e Podestà, si potè avanzare verso la zona centrale della Minie-ra, constatare principio di incendio al livello -125, vasta zona incendiata ed in parte franata al -75, alta temperatura e fumo intenso al -40 in corrispondenza dei gradini e fornelli Torta, Salaris, Marceddu.
Con due chiusure ermetiche a levante e a ponente si limitò l'incendio al -125, precludendo la maggior corrente d'aria alimentatrice; al -75 e al -40 fu solo pos-sibile stabilire chiusure identiche in prossimità e a levante della zona incendia-ta, per sopprimere poi il tiraggio dalla parte ponente di questi livelli, parte assolutamente inaccessibile, abbattuta la chiusura del livello Rietto (ultimo li-vello che sbocca a giorno), si procedette alla successiva ermetica chiusura fino all'estremo ponente di tutti i fornelli comunicanti con i livelli sottostanti. Fu que-sto il lavoro che richiese maggiori fatiche e cautele; con ordinata organizzazio-ne di squadre e rapidi cambi, tutti i fornelli vennero chiusi procedendo da levante verso ponente, senza gravi inconvenienti e solo si ebbe a lamentare nel persona-le qualche leggero svenimento e qualche principio di asfissia.
La zona pericolosa era in tal modo delimitata e isolata.
Nei giorni seguenti ci limitammo a sorvegliare ed a rinforzare le chiusure, non essendo in alcun modo possibile, data l'estensione della zona incendiata e la po-ca acqua disponibile, nonché il pericolo gravissimo costituito dall'acido carbo-nico, di tentare lo spegnimento.
Il giorno 8 si tentò l'esplorazione dei livelli: a Rietto, aperto qualche fornello, si constatò l'assenza di gas infiammabili; al livello -40 si potè avanzare sin sopra la zona incendiata; al -75 e al -125 si trovò ancora fuoco ed ambienti pericolosi causa frane ed irrespirabili.


Si ripristinarono le chiusure a questi ultimi livelli e nei giorni successivi si pote-rono chiudere tutti i fornelli che dal livello -40 conducono ai livelli inferiori, li-mitando in tal modo, maggiormente, la zona pericolosa e rendendo liberi i livelli
Podestà, Mare, Rietto e tutti i livelli superiori.
Solo il 1 ° marzo, dopo opportune esplorazioni, si aprì e si percorse tutto il livel-lo -40, iniziando tosto riparazioni urgentissime.
Il giorno 2 si aprì il livello -75 e, dopo aver lasciato sfogare la grande quantità di anidride carbonica ivi raccolta, si avanzò sino alla gran frana provocata dal fuoco e, malgrado la temperatura elevata, si diede subito mano alle riparazioni.
Il giorno 6 fu possibile accedere al -125 ed incominciare ad armare. I lavori di riparazione vennero fatti in seguito più celermente da due parti, quando fu pra-ticabile la zona a ponente di quella incendiata.
I livelli -40 e -125 poterono essere aperti al transito in poco più di una settimana, il livello -75 (la sola galleria di carreggio) richiese il lavoro ininterrotto di una trentina di operai per circa un mese ed il transito non potè essere ripristinato che a fine marzo.
Si rinunciò, per ora, a riparare i traverso banco ed i fornelli.
I danni, purtroppo, furono ingenti: oltre al livello -75, completamente franato per oltre 70 metri di lunghezza, si ebbero 2 traverso banco di 30 metri ciascuno e due fornelli, uno di 70 e l'altro di 50 metri, intieramente distrutti, un gradino franato, numerosissimi quadri bruciati o danneggiati, il motorino di una perfo-ratrice reso inservibile; occorre ancora aggiungere i danni derivanti dalla sospen-sione del lavoro utile di coltivazione e la conseguente diminuzione di produzione, solo in parte compensata dall'esaurimento della riserva di toutvenant (grezzo) che esisteva sui piazzali.
Stante lo stato di franamento della zona incendiata, non si potè stabilire il pun-to di partenza del fuoco; pare probabile siasi sviluppato al livello -75 nel giorno di domenica 1° febbraio, dopo l'uscita dell'ultima sciolta (turno).
Circa le cause, non siamo in grado che di fare ipotesi: esclusa la possibilità di contatti elettrici, perché fin dalla mezzanotte del 31 gennaio in galleria non cir-colava corrente, esclusa una causa spontanea qualsiasi, perché in miniera non esistono ne gas infiammabili, ne sostanze in decomposizione tali da poter origi-nare un incendio, non ci resta da pensare che al dolo o all'inavvertenza di qual-che operaio nell'appendere la lampada con la fiamma rivolta verso qualche parete rivestita di legname vecchio ed asciutto. Ben inteso, su questo punto non si sa-prà mai nulla di certo.
Con tutta osservanza Ing. O. Garzena».

Dal mese di luglio, a causa della guerra, vennero sospese le spedizioni all'estero del minerale che restò in deposito nei piazzali della laveria (5000 tonnellate di blenda) e nei magazzini (300 tonnellate di galena con il 2o di Argento).
I lavori vennero tenuti aperti per evitare che il personale più capace emigrasse. Ven-ne incrementata la ricerca nella regione Piata riattivando e anche scavando ex novo alcu-ni livelli dal Pozzo Alda.
I lavori nella galleria Rietto, che si ritenevano esauriti, ripresero e la galleria stessa venne spinta sino a 300 metri dal mare dove vennero aperti alcuni cantieri con piccole coltivazioni.
È interessante notare come tutti gli antichi cantieri al di sopra della galleria Rietto fornissero ancora produzioni non trascurabili nella generale economia della miniera.
I grossi lavori erano però compresi tra il livello -75 e il livello -40. Infatti tra le pro-gressive di metri 300-380 ad ovest del Pozzo Podestà era aperto il gradino denominato


MARCEDDU. Quivi il filone, su una potenza complessiva di 35 metri, si presentava mine-ralizzato per una potenza media complessiva di circa 10 metri su cui la coltivazione era fatta con sistemi diversi, ma sempre con ripiena.
Il gradino MARCEDDU ubicato nel pannello compreso tra il -75 e il -40, era quasi esaurito perché ormai si trovava a soli 8 metri dal piede dello stesso -40.
Inoltre più ad ovest si trovava in esaurimento il gradino CHERCHI che aveva dato una elevata produzione dal 1901 al 1913. Si svilupparono anche i lavori al -125 e vennero intestati pozzetti interni per raggiungere il -175.
Nel 1915 a causa della sospensione delle spedizioni si trovavano giacenti in piazzale circa 15000 tonnellate di blenda. Le ricerche ripresero intensamente nel cantiere Piata con l'approfondimento del Pozzo Alda e lo scavo di una galleria verso Pozzo Podestà con l'intento di comunicare con il livello -5 scavato a suo tempo dal Pozzo Podestà verso la zona Piata e che fu sospeso alla progressiva di circa 500 metri perché non aveva riscon-trato mineralizzazione utile.
Al fine del congiungimento dei Pozzi Podestà e Piata, il livello -5 venne riattato con grosse difficoltà dovute alle notevoli spinte che nel tempo ne avevano fatto crollare ampi tratti.
Il pozzo Podestà raggiunse la profondità di 163 metri (circa 8 metri sotto il livello -125 ovvero sotto il livello 155 se considerato come progressiva dalla quota di intesto del pozzo stesso).


La crisi della mano d'opera in periodo di guerra era particolarmente sentita all'Ar-gentiera, lontana dai centri abitati e dai più importanti centri minerari dell'Isola. Da circa 400 operai che si avevano nel 1914 si era passati a meno di 200, ma il problema più grande era legato al fatto che i minatori si erano ridotti da 150 a 59.
Per fortuna si riuscì a vendere e a spedire tutto il materiale prodotto in precedenza e giacente nei piazzali della laveria. Nel novembre 1916 risultavano spedite oltre 9000 tonnellate di blenda negli Stati Uniti, 1900 tonnellate di blenda in Gran Bretagna e si era in attesa del piroscafo per il carico di altre 2500 tonnellate di blenda già vendute in Olanda.
La fine del secondo decennio del '900 vide un riavvio delle attività della miniera an-che se permanevano alcuni problemi legati all'approvvigionamento di combustibili e ma-teriali vari che impedivano la continuità del lavoro. Anche la laveria, dove lavoravano 40 operai di cui 21 donne, aveva lunghi periodi di fermata.
I lavori minerari ripresero con buona lena anche nel cantiere Piata dove, tra l'altro, una galleria intercettò vecchi lavori romani all'interno dei quali si ritrovarono diversi vasi di buona fattura (rapporto ing. Testa 31.05.1918).
Un altro aspetto a cui si rivolse l'attenzione dei tecnici del periodo fu quello di trovare soluzioni ai problemi che il carico a mare dei minerali comportava. Infatti, a causa dell'esposizione a maestrale della Cala di San Nicola, il carico stesso non era mai stato effettuato in assoluta tranquillità. La ricerca di soluzioni non era legata solamente ad un fattore di sicurezza, ma soprattutto alla ottimizzazione delle operazioni che consen-tissero un risparmio sui costi di imbarco.
Le soluzioni non potevano essere semplici anche in considerazione del fatto che la violenza del mare, all'Argentiera, non avrebbe consentito che piccole strutture portuali avessero carattere duraturo.
 

Anni '20
I primi anni '20 videro un'ulteriore riduzione della mano d'opera e un rallentamento delle produzioni a causa delle pessime condizioni del mercato dei metalli e degli aumenti nei costi della mano d'opera e dei materiali.
Il numero degli operai alla fine del 1921 era ridotto a 150 rispetto ai 220 presenti l'anno precedente.
Nonostante le perdite denunciate dalla Società non si arrivò alla chiusura completa.
Infatti, considerate le speciali condizioni della miniera, in una eventuale ripresa il reclutamento sarebbe stato più difficile che altrove non tanto per il numero, quanto per la qualità degli operai.
La laveria, che era rimasta ferma per lunghi periodi, riprese la marcia con una qua-rantina di operai di cui alcuni giovanissimi e pochissime donne.
All'interno si lavorava a ranghi ridottissimi con il massimo risparmio.
Dei 100 operai addetti all'interno solo una sessantina lavoravano all'abbattimento.
L'unica macchina perforatrice lasciata in funzione in miniera, lavorava in un gradino di coltivazione.
Il resto degli operai era utilizzato all'esterno e soprattutto in vicinanza della Cala nella costruzione di silos e celle affiancate di un nuovo impianto che avrebbe semplifica-to e reso più economico il carico del minerale sulle barche.
Anche questo decennio, nonostante il numero ridotto di addetti ai lavori, ebbe inizio con alcuni incidenti mortali: «Agli inizi degli anni venti perse la vita il carrettiere della miniera, che, sbalzato da cavallo improvvisamente imbizzarritesi, aveva battuto violen-temente la testa» (S. Ruiu «L'Argentiera», 1996, pag. 268). • II giorno 7 Novembre 1921 l'operaio PERAZZONI Giuseppe di Antonio di anni 18 da
Florinas, addetto alle pompe per il sollevamento delle acque della minerà, chiedeva al sorvegliante MASSETTI Francesco fu Simone di anni 51 da Mamoiada, di prolungare la marcia delle pompe stesse.


Il MASSETTI trattenne in servizio anche l'operaio ZARA Giovanni fu Giuseppe di anni
46 di Florinas, addetto alle manovre dell'argano di estrazione e alla sorveglianza della centrale che fornisce l'energia elettrica alle pompe.
Quest'ultimo, dopo un'ora, non udì marciare la pompa che il PERAZZONI avrebbe do-vuto azionare e avvertì l'altro sorvegliante TOSI FRANCESCO fu Luigi di anni 39 da
Monte Fiorino, il quale discese in miniera e trovò il PERAZZONI ormai cadavere, ste-so sui boccaporti del pozzo al livello più basso -163.
Il poveretto era caduto dentro il pozzo precipitando dal livello -105 al fondo del pozzo
(-163).


Percorrendo la galleria di livello per un tratto di 66 metri si arriva al POZZO che presenta i due scomparti delle 2 gabbie.
G e G' rappresentano gli scomparti delle gabbie (in G trovavasi la gabbia, G' si pre-sentava libero e in esso precipitò il poveretto).
La sezione A-B rappresenta la posizione di una catena che viene agganciata ai due lati della galleria per segnalare il pericolo del transito.
Si tentò di spiegare l'infortunio con l'ipotesi che al PERAZZONI si sia spenta la lam-pada e che andando a tentoni per raggiungere la gabbia in G (che lo attendeva) si sia spo-stato troppo sulla sua destra imboccando il vano vuoto e precipitando nel livello -163 di 58 metri più basso.
 

Negli anni successivi si procedeva verso una ripresa dei livelli produttivi anteguerra, ma il numero degli addetti all'interno era esiguo e la vecchia laveria non avrebbe potuto far fronte ad importanti aumenti di produzione nonostante l'installazione di 2 tavole Ferraris (apparecchiature messe a punto dall'Ing. Erminio Ferraris direttore della Monteponi, che servivano per facilitare la separazione del minerale dal materiale sterile).
Veniva intanto ultimato l'impianto dei silos per il carico dei vagoni, che avrebbe con-sentito un carico più rapido del materiale commerciabile da spedire via mare.
Con la nuova sistemazione, in una giornata, si potevano scaricare sulle barche e quindi a bordo dei piroscafi 1400 tonnellate di minerale con soli 9 uomini addetti ai vagoni e ai silos. Per quanto riguardava la miniera, si procedeva nell'approfondimento del Pozzo Podestà per coltivare le mineralizzazioni più profonde.
Le parti antiche della miniera (zona Rietto e Calabronis) fornivano ancora una buo-na produzione di minerale e di materiale recuperato dalle vecchie ripiene.
Il lavoro che veniva effettuato in questa zona era sempre particolarmente rischioso per i minatori.
Ma il pericolo era sempre presente anche in tutte le altre fasi di lavorazione:

• il 17 luglio 1925 il minatore SALARIS Giovanni fu Giuseppe Antonio lavorava all'approfondimento del Pozzo Podestà dove regolarmente veniva calata una cassa carica di materiale (quattro blocchi di calcestruzzo del peso di 17 kg. ciascuno). Durante una di queste manovre il cavo, probabilmente a causa della continua piegatura sul trave, si spezzò e la cassetta con il suo carico cadde addosso al Salaris uccidendolo.
 

La coltivazione della miniera proseguì regolarmente fino al 1927, ottenendo in quell'anno una produzione di tonn. 7938 di blenda al 40 di Zinco, tonn. ^ f y 660 di galena al 55 di Piombo e gr. 1000 di Argento per tonnellata.
Nel 1928 la produzione cominciò a diminuire, anche per il fatto che la miniera era ancora dotata della vecchia laveria gravimetrica, poco adatta per  recuperare la galena, buona parte della quale rimaneva mescolata alla blenda e quindi perduta.
L'attività della miniera continuò con l'approfondimento del P. Podestà e si sviluppò essenzialmente livello -175
Vennero eseguite manutenzioni ai livelli -125
In quest'ultimo livello (Calabronis) continuavano i lavori di ricerca sulle zone mineralizzate in blenda lasciate in posto dagli antichi coltivatori.
Gli incidenti purtroppo proseguirono:

• II giorno 26 Maggio 1928 in un gradino di coltiva- ni Salaris (17.07.1925). zione sito tra il livello -125 e il livello -75 i minatori MAMUSI Salvatore fu Giov. Antonio e fu Marras Antonia di anni 44 da Bonorva, DERIU Pasquale fu Giov. Maria e fu Murgia Andreana, da Bonorva, capo sciolta, ANGIONI Rafaele di Paolo e fu Crisponi Maria di anni 35, da Mamoiada, dopo aver eseguito la perforazione e aver fatto esplodere le mine, erano intenti al lavoro di disgaggio.
Verso le ore 5,30 il capo sciolta Deriu Pasquale servendosi di leva (palanchino) era impegnato nel disgaggio di un blocco rimasto incastrato sulla parete del cantiere vicino alla fronte, quando si verificò all'improvviso il distacco del blocco stesso che, abbat-tendosi al suolo, trascinò il palanchino sfuggito di mano al Deriu sbattendoglielo con-tro il femore destro e procurandogli la rottura dell'arto.

Alla fine degli anni '20, la concessione della Miniera dell'Argentiera veniva confer-mata in perpetuo alla Società Correboi con decreto del Ministero delle Corporazioni Di-rezione Generale Industria e Miniere, in data 27 Luglio 1929.

Anni '30
Con il 1930 finiva all'Argentiera la dirczione da parte dell'Ing. Sgarbi che, nel luglio dello stesso anno, veniva sostituito dall'Ing. Sebastiano Ferrerò.
La società esercente, al fine di ottenere un più alto rendimento in metallo, ed una migliore separazione della galena dalla blenda, costruì negli anni 1929 e 1930, una mo-derna laveria con flottazione (9) che però non entrò in funzione.

Da un rapporto del tempo si riporta testualmente:
«All'esterno dopo aver portato a compimento la laveria per flottazione sono stati iniziati esperimenti di laboratorio intesi a sostituire il cianuro di potassio tra i reagenti della flottazione stessa».
All'Argentiera non sono mai esistiti bacini di contenimento fanghi.
Lo scarico dei fanghi della laveria, qualunque fossero i prodotti chimici utilizzati co-me reagenti, andava direttamente in mare dopo un brevissimo percorso di circa 100 metri.
Per quanto riguarda il mancato funzionamento della laveria è da rimarcare che già dal 16 giugno 1930 la Società «Correboi», a causa della crisi del mercato dello zinco chie-deva al Ministero competente di essere autorizzato a sospendere i lavori di coltivazione della miniera.
Con decreto in data 27.2.1931 firmato dal Ministro Bottai, veniva concessa l'autoriz-zazione alla sospensione dei lavori sino al 27.2.1933, autorizzazione rinnovata sino al 27.2.1935 con Decr. Ministeriale 18.3.1933.
Nel periodo restarono occupati per 18 giorni al mese 28 operai fra armatori fabbri e guardie.
Nel '32, alla morte dell'Ing. Ferrerò, veniva dato l'incarico della Dirczione della Mi-niera al P.M. Emanuele Schiffini di Iglesias che alla fine del 1935 venne sostituito dal-1 Ing. Calogero Venezia di Sciacca.
Nel '36, con la ripresa dei lavori minerari, la nuova laveria cominciò a marciare
Nella seconda metà degli anni '30 si lavorava all'approfondimento del pozzo Podestà e alla ripresa di alcune coltivazioni nelle porzioni alte del giacimento. Con la ripresa dei lavori, purtroppo, vi furono alcuni gravi infortuni: • II giorno 18 maggio 1938 gli operai Uldanch Angelo di Giuseppe (Capo Compagnia) Lom-bardi Vincenzo di Pasquale e Pisano Antonio fu Salvatore, nato ad Iglesias, lavoravano all'approfondimento del Pozzo Podestà.
Il transito degli operai che lavorano nell'approfondimento del Pozzo avviene per un sistema di scale munite di regolari palchetti, le quali vanno ad imboccare al livello -175
Alle ore 11 il Pisano risalì attraverso le scale dal fondo del pozzo (-183 s.l.m.) al livello
-175 dove avvenne un infortunio che, solo per caso, non fu mortale.



Il Pisano, una volta risalita la scala che dal -183 conduce al -175, anziché percorrere come prescritto, la galleria di giro G, passò attraverso la canna del Pozzo passando sul palchetto interno. In quel momento giunse la gabbia che colpì alla schiena il Pisa-no procurandogli la frattura della 123 vertebra dorsale e distorsione del piede sinistro.
L'incidente non ebbe conseguenze più gravi grazie al tempestivo intervento dei com-pagni di lavoro.
 

• II 21.7.1938 un infortunio mortale avvenne in uno scavo a giorno nella zona di Calabro-nis alla quota +90 circa.
Alle ore 10,30 il manovale ULERI Antonio Giovanni di Giuseppe di anni 32 lavorava alla base di detto scavo dove procedeva al carico su vagoncino del materiale abbattu-to, per scaricarlo nel vicino fornello di getto della ripiena che comunicava con il livel-lo +70.
Dal ciglio dello scavo si staccò, per cause imprecisate, un quantitativo di circa due me-tri cubi di materiale che investirono l'Uleri schiacciandolo contro il carrello.
Alle grida dell'infortunato accorsero gli operai Mercurio Giuseppe di Salvatore di an-ni 35 da Mamoiada e Secchi Nicolo di Vittorio di anni 24 da Ossi che provvidero a far-lo trasportare all'Ospedale di Sassari dove, a seguito delle gravi ferite riportate, decedeva l'indomani alle ore 7.

Anni '40
L'inizio degli anni '40 vedeva una produzione giornaliera di grezzo pari a circa 175 tonnellate ad un tenore medio del 10,5 in Blenda e dell'1,6 in Galena.
Tutto il materiale prodotto veniva trattato nel nuovo impianto di arricchimento.
Negli anni '40 si fecero alcune interessanti relazioni tecniche relativamente allo sta-to delle ricerche e alle speranze in esse riposte per la vita della miniera.
Una nota del Distretto Minerario di Iglesias riporta:
«Occorre subito dire che mentre la parte di ponente è stata sinora quella che dagli inizi lontani della miniera ha fornito la quasi totalità del minerale estrat-to, la parte di levante, nelle ricerche e lavori sinora compiuti, salvo qualche ec-cezione, ha dato risultati pressoché negativi. Ivi il filone, disturbato da dislocazioni e fratture, sembra quasi sempre sterile. In questi ultimi anni è stato riaperto in regione «La Piata» (estremità sud della parte di Levante) il pozzo «ALDA». Intor-no sono stati compiuti numerosi lavori di ricerca, ma con scarsi risultati.
E da augurarsi che le cose combino perché dall'esito delle ricerche nella parte di levante dipende la vita della miniera.
Scesi per il Pozzo Podestà al livello -220 sono stati esaminati i lavori verso po-nente per la ricerca del filone che in questo livello più basso risulta meno ricco; la blenda è scarsa, accompagnata da siderite; la zona è disturbata da faglie e si hanno venute d'acqua per circa 80 metri cubi al giorno».
Si tratta dei primi inequivocabili segnali di preoccupazione per il futuro della minie-ra reso ancora più incerto a causa dell'inizio del secondo conflitto mondiale.
Tuttavia la miniera proseguiva nella attività estrattiva: la produzione mensile era di circa 850 tonnellate di minerali di zinco e di piombo che venivano trasportati a Portotor-res per essere imbarcati su piroscafi diretti nel Continente.
Le difficoltà per i trasporti del minerale emergono da una nota in data 24.2.1942 in-dirizzata dalla Società Correboi al Distretto Minerario di Iglesias per la richiesta di au-mento della assegnazione di gasolio per il trasporto dei minerali:
«II trasporto dei minerali suddetti dalla nostra Miniera a Portotorres avviene durante la stagione estiva, in parte per via marittima mediante barche a vela e motobarche, ed in parte per via ordinaria su autocarri.
Poiché il trasporto via mare è reso impossibile durante la stagione invernale a causa dello stato del mare, della brevità delle giornate e delle restrizioni alla na-vigazione costiera dipendenti dallo stato di guerra, ne consegue che tutta la no-stra produzione deve essere trasportata, nei mesi invernali, unicamente per via ordinaria».
La pericolosità della navigazione costiera nel periodo fu tragicamente documentata il 16 settembre 1942, quando avvenne l'insensato episodio che portò alla morte dei fra-telli BALZANO che commosse tutta la popolazione dell'Argentiera.


Ai problemi della guerra si sovrapponevano i problemi della miniera che, ancora una volta, verso le ore 12 del giorno 14.12.1942, si manifestavano con un infortunio mortale. • L'incidente avvenne nel gradino di coltivazione detto «Gradino 3 Levante» compreso tra il livello -175 e il livello -125 in un punto distante una quarantina di metri in linea d'aria dal Pozzo Podestà.
Il gradino era quasi completamente coltivato, trovandosi ad appena 8 metri sotto il livello superiore -125.
L'infortunio fu dovuto a distacco di roccia dal tetto del cantiere presso il fronte di avanzamento diretto verso ponente.
Può facilmente comprendersi l'entità del crollo che interessò un tratto di circa 10 metri di lunghezza, per tutta la larghezza del sotterraneo (3-3.5 metri) e per una altezza variabile di 1-1.5 metri.
Vittima dell'infortunio fu il perforatore LOI Antonio di Antioco di anni 27, da Ula Tirso, che si trovava alla fronte del cantiere.
Ad una quarantina di metri di distanza operavano altri due operai:
Ventura Salvatore, di anni 41 da Fluminimaggiore, che provvedeva alla stesura del materiale di ripiena e Demontis Antonio di Francesco, di anni 20 da Mores, che provve-deva allo sgombero del minerale abbattuto nel turno precedente riversandolo nell'appo-sito fornello di getto. Del grave incidente si rese conto il capo compagnia Congiu Vincenzo, di anni 38, da Ma-moiada, che, non udendo più il rumore del martello perforatore, si recò alla fronte per verificare cosa fosse successo. Il CONGIU trovava la via sbarrata dalla grossa frana che però riuscì, con grosso rischio, a superare, rendendosi conto che il povero perforatore LOI non si trovava nel tratto di galleria non interessato dalla frana. Solo verso le 6 del mattino del giorno successivo si riuscì a recuperare il corpo del giova-ne LOI.

In ogni caso si guardava al futuro con la grande speranza che la miniera riprendesse la normale attività.
Infatti l'Argentiera era stata, sino a quel momento, una delle miniere più produttive dell'Isola; dal 1878 al 1941, benché nel periodo dal 1929 al 1935 non vi fosse stata produ-zione alcuna, diede 328.000 tonnellate di blenda e circa 35.000 tonnellate di galena conte-nente buone percentuali di argento.
Dal 1927 usufruiva dell'energia elettrica della rete della Società Elettrica Sarda e dal 1930 poteva contare su una nuova laveria a flottazione, in sostituzione della vecchia idrogravimetrica, che però, per chiusura della miniera dal '29 al '35, cominciò a marcia-re solo nel 1936.
In una nota del '42 del Distretto Minerario si riproponevano però alcune preoccupa-zioni circa il futuro della miniera: —Le riserve accertate ammontavano a circa 120.000 tonnellate e poiché la capacità pro-duttiva della miniera era di 30.000 tonnellate / anno, si intravedeva un periodo di vita di soli quattro anni. —La ricerca condotta con il livello -5, che aveva attraversato tutta la zona compresa tra
Pozzo Podestà e Pozzo Alda, aveva dato esito negativo. — Si auspicava che i livelli profondi della miniera, già spinti dal Pozzo Podestà verso nord-est per oltre 200 metri e che avevano dato esito negativo, venissero spinti sino all'e-stremo nord-est sotto il Pozzo Alda nella speranza di nuovi ritrovamenti di minerale. — Buona parte della produzione proveniva ancora dai livelli alti coltivati dagli antichi sia asportandone i residui blendosi lasciati in posto, sia riaprendo le vecchie coltiva-zioni, spesso in frana, sia recuperando i materiali che gli stessi antichi avevano utiliz-zato come materiale di ripiena per sostegno nei vuoti di coltivazione. L'ammoderna-mento degli impianti, infatti, consentiva un certo recupero di minerale dai materiali di ripiena non ottenibile in precedenza. —Considerato il limitato sviluppo del livello -220 non si erano perse le speranze di un cambiamento in meglio con il procedere dei lavori, tuttavia la situazione confermava il graduale impoverimento del giacimento in profondità per riduzione in spessore ed estensione. — Se quindi non fossero intervenuti fatti nuovi con il rinvenimento di qualche zona con abbondante mineralizzazione, seppure senza le ricchezze di un tempo, l'avvenire della miniera sarebbe stato piuttosto scuro.
Infatti, erano pressoché esaurite la parte alta del giacimento e la parte centrale sot-tostante per cui la miniera si sosteneva con appendici sparse sia in profondità sia qua e là in alcune delle zone in cui il filone era stato coltivato in passato. Per alimentare 1 pianto, venivano trattati anche notevoli quantitativi di ghiaino, costituito da vecchia scariche, prelevato in prossimità della spiaggia.
Il contenuto in metallo del ghiaino era di 0,6-0,7 in piombo e 3,5 in zincc
Di contro, per fortuna, la miniera era poco acquifera e la quantità di acqua ed< (pompata all'esterno) si manteneva intorno agli 80 metri cubi al giorno.
Nei primi anni '40 la meccanizzazione all'interno non era particolarmente sviku ta, tuttavia era stata finalmente superata la perforazione a mazzetta e veniva effetti la perforazione meccanica con 20 martelli BBR-13, 6 DCRW-23 e 4 CC-2; la rete delle bazioni aveva uno sviluppo di circa 3 Km e l'aria compressa era fornita da due comp sori della potenza complessiva di 200 CV.
Non si avevano trasporti meccanizzati salvo che per il sollevamento delle gabbie pozzi.
Nei tratti dall'imbocco del Pozzo Podestà alla sommità della laveria e dalla ste laveria alla discarica venivano usati i trenini con traino a cavallo. Per il resto, sia a; sterno che all'interno i vagoncini venivano spinti e manovrati dall'uomo.
Il mercantile si inviava preferibilmente su autocarri o con barche a Portotorres era più garantito il carico sui piroscafi. Inoltre anche per i carichi da effettuarsi dire mente nella rada, una serie di accorgimenti attuati sulla piccola banchina consentivi operazioni molto più veloci che in precedenza.
Nel 1943 la zona dei vecchi lavori continuava a fornire materiale utile mentre a vello -175, esteso per oltre 800 metri, non si erano ottenuti risultati apprezzabili.
Era evidente che la Miniera avrebbe avuto ancora pochi anni di vita se le ricen e le coltivazioni si fossero limitate ai tratti sinora messi in vista.
Il rinnovo della miniera e le speranze di continuità erano legate: —alle ricerche nella zona Piata verso Nord nord-est dove era in progetto l'approfor mento del Pozzo Alda che toccava la quota -40 s.l.m.; —alle ricerche mediante il livello -75 che avrebbe unito il Pozzo Podestà con il Pozzo da verificando la consistenza del giacimento in una zona estesa 500 metri che, già dagata con il livello -5, era risultata sterile a quella quota; —alle ricerche da effettuarsi nella zona del Pozzo Podestà al di sotto del livello -2:
Nell'agosto del 1943 a causa degli eventi bellici, le coltivazioni vennero interrol ma non vennero fermati i lavori di ricerca e di manutenzione delle gallerie.
In particolare dal momento della fermata di cui sopra al 31 maggio 1945 l'avan mento al liv. -175 aveva progredito di 255 metri.

Fine secondo conflitto mondiale
Sulla situazione dell'Argentiera alla fine del secondo conflitto mondiale, è molto i portante dal punto di vista geo-giacimentologico e minerario una relazione del giugno 1945 relativa ad uno studio di dettaglio sul filone dell'Argentiera in connessione ai successivi programmi di lavoro e di ricerca.
La relazione del giugno 1945 predisposta per la Dirczione Generale della Correb studia le possibilità che ancora poteva offrire il filone Argentiera.
La scarsità di minerale alla vista, in rapporto all'enorme sviluppo dei tracciarne] che richiedevano una costosissima manutenzione, aveva messo da tempo la miniera condizioni economicamente svantaggiose. L'esito negativo di alcune ricerche in profondità aveva aggravato ancora di più la situazione.
Per affrontare il futuro occorreva prendere decisioni di notevole importanza, sia p ridurre le spese di manutenzione, sia nei riguardi dell'indirizzo da dare alle ri'cerch
Le considerazioni che seguono sono tratte prevalentemente da quella interessante nota.
La miniera era stata studiata con cura ed attenzione sia sul posto, ove era possibile, sia esaminando le vecchie relazioni sui lavori. Ciò consentì di fare il punto sulla situazione del giacimento e sul futuro della miniera stessa.
Alla nota tecnica era allegato lo schema del filone Argentiera come si presentava in planimetria.
Veniva confermato come il filone fosse caratterizzato in modo inconfondibile dallo strato di argilla ben noto e che accompagnava la grande frattura filoniana in tutta la sua estensione sia in profondità, sia in direzione.
Si riteneva che la zona di «Mezzeria», la più ricca della miniera, fosse dovuta ad un disturbo (faglia) che portava ad un raddoppio dell'argilla, il che avrebbe spiegato l'esi-stenza di due vene parallele, ciascuna con argilla propria, e delle numerose vene secon-darie Nord-Sud che collegavano le due argille.
La faglia di mezzeria spiegava anche l'interruzione del filone fra Pozzo Podestà e la zona Piata.
Veniva rilevato inoltre come l'argilla mantenesse inalterate le caratteristiche dall'e-stremo sud ovest all'estremo nord est lasciando supporre che la frattura principale non si esaurisse nella zona Piata, ma che fosse stata solo interrotta da un'altra faglia e che il filone continuasse ancora verso nord est.
Era stata studiata a fondo la relazione di giacitura fra la mineralizzazione e l'argilla ed era emerso che la mineralizzazione si presentava in due modi distinti: quella a imme-diato contatto con l'argilla, più spessa sopra questa, meno spessa sotto.
La mineralizzazione si trovava anche, abbastanza spesso, in fratture secondarie.
Mentre l'argilla si sviluppava ininterrottamente dall'affioramento ai livelli più pro-fondi tracciati sino ad allora, lo stesso non poteva dirsi per la mineralizzazione che non era così continua e si ritrovava solo in determinate zone.

E' interessante la ricostruzione nelle sue grandi linee dell'andamento e della disposi-zione delle zone mineralizzate.
Per facilitare la presentazione e la lettura dei dati si era proceduto alla suddivisione del hlone nel seguente modo:  - Tutto lo sviluppo del filone conosciuto, oltre 1700 metri in sezione, venne diviso in tratti di 20 metri ciascuno con origine nel Pozzo Podestà (punto zero); -1 singoli tratti di 20 metri a partire da Pozzo Podestà verso il mare (a Ponente) vennero indicati con 1P, 2P, ecc. sino al 41P; - i singoli tratti di 20 metri a partire da Pozzo Podestà verso Pozzo Alda in regione Piata
(a Levante) vennero indicati con IL, 2L, ecc. sino all'estremo nord est (45L)
Partendo dall'estremo ponente si aveva un tratto di filone, compreso tra il 41P e il 31P. ( ovvero per una lunghezza di 200 metri - tra le progressive di 820 metri e 620 metri ~ a sudovest dl pozzo podestà)in cui la mineralizzazione affiorava all'esterno a quote variabili fra +120 e +150. Le coltivazioni si arrestarono al livello Zero circa.

Ricerche fatte in tempi successivi in profondità, nella cosiddetta zona di protezione a mare, diedero esito negativo.
Nel tratto di filone tra il 41P. e il 31P. la parte coltivabile era limitata tra l'affioramen-to (+130) e la quota Zero. Al di sotto della quota zero il filone si riduceva ad un incassa-' mento quarzoso con tracce di pirite, siderite e blenda.
Fra il 31P. e il 26P. il filone non era coltivabile in affioramento (+100). La parte colti-vabile era compresa tra le quote +50 e -135 (185 metri di altezza).
Al sottostante livello -175 esisteva ancora il filone ben delineato a contatto dell'argil-la incassato nel quarzo e con buone tracce di minerale, tuttavia un tentativo di coltiva-zione venne sospeso perché non economico.
Fra il 26P. e il 19P. la parte coltivabile era compresa tra l'affioramento (+100 i e il livello -125 (225 metri di altezza).
Fra il 19P. e il 10P. (zona di Mezzeria), almeno 4 vene erano coltivate dall'affioramen-to (+70 circa) fino al livello -125 (195 metri di altezza).
Dal 10P allo zero non si aveva traccia di mineralizzazione all'esterno (quote +50 - +30). Il filone cominciava a delinearsi a quota -50 circa, era abbastanza ricco al livello -75, diminuiva m ricchezza dal -75 al -175. La mineralizzazione nel tratto suddetto era piuttosto povera. Al livello -220 veniva trovata una ricchissima vena nel tratto 3P 5P coltivata verso l'alto tra il -220 e il -200 dove però si chiudeva. Al momento questa Piccia vena doveva essere esplorata in profondità, piccola
Dallo Zero al 9L. si aveva la cosidetta «grande campana» per la forma che la minerà izzazione aveva assunto procedendo verso il basso. Anche in tale zona (detta cULevan e)
1 affioramento era assolutamente sterile. Levante) oh." Tr."6 sl delineava quota -15 circa' alla q"°ta -75 si manteneva ristretto in lun-ghezza (50 metri), fra il -75 e il -175 raggiungeva il massimo di ricchezza e di estensione  come ipotizzato e auspicato da] Taricco  mentre si riduceva notevolmente al livello -220.

Il tratto di filone dal 9L aql 25L  (zona plata) già investigato con il liv- -5 era risultato completamente sterile. Dal 25L al 45L su un tratto quindi' di 400 metri e   una Profondità di 80 metri, dal +45 al -35 era steta rlconosciuta l'argilla, ma la mineralizzazione era interessante solo nel tratto 34L-38L. I lavori antichi erano stati chiusi a circa 20 metri sotto l'affiora mento, nei pressi del Pozzo Alda (36L).
L'esistenza di due vene mineralizzate rendeva interessante la ricerca alla Piata ma una vena' detta <<vena di letto>> si era chiusa al livello -5, l'altra era scarsa al livello +5 mentre si faceva più interessante al livello -35 nel tratto 31-34L senza offrire però possi-bilità di coltivazione.
Questa importante e chiara sintesi consentiva di tracciare un quadro completo rela-tivamente al tipo di ricerca da effettuare per poter prolungare la vita della miniera. Zona Podestà
Venivano prese in esame tré possibilità: a) Tracciamento del livello -220 verso ponente:
Considerato l'esito negativo del tracciamento del livello superiore -175, si sconsigliava il trace, del -220 verso ovest per considerazioni di natura geo-giacimentologica e per gli alti costi che si sarebbero dovuti sostenere.
Infatti, pur potendo sperare in qualche piccolo ritrovamento, per permettere il trac-ciamento del -220 si sarebbe dovuto tenere aperto il sovrastante livello -175 e tutto il circuito di ventilazione di Ponente che avrebbe comportato un onere finanziario notevole valutato intorno a 1/3 della spesa totale di manutenzione della miniera. b) SCAVO DEL NUOVO POZZO (POZZO UMBERTO) dal-220 al -250 e tracciamento della zona mineralizzata 6P-6L per un totale di circa 250 metri
Con tale lavoro si sarebbero esplorati i lembi più profondi della miniera e) bendaggi sul filone nelle zone riconosciute povere ai vari livelli. Zona compresa fra Pow Podestà e Pow Alda -Completamento del livello -75 che però sembrava confermare i risultati negativi otte-nuti con lo scavo del soprastante livello -5. Zona Piata -Veniva scartata l'ipotesi di continuare la ricerca al livello -35 dove il filone era stato indagato con esito negativo nel tratto dal 28L al 37L. - Si suggeriva una ricerca in profondità al di sotto del livello -35 nel tratto 31L-34L fcir ca 60 m in estensione).


• Veniva auspicata la ricerca della prosecuzione del filone a Nord di P. Alda oltre la fa-glia che interrompe la continuità.
Altri particolari che emergono da tale studio sono: 1) Nel filone conosciuto, l'altezza della parte coltivabile varia da un minimo di 150 metri ad un massimo di 200 metri.
Questo sia che la mineralizzazione abbia inizio dall'affioramento, sia che inizi ad una quota qualsiasi al di sotto della superficie.
Ciò costituiva una notevole limitazione alle possibilità di nuovi ritrovamenti almeno in alcune zone. 2) La possibilità che il filone continui, completamente vergine, a Nord del Pozzo Alda do-ve una faglia con direzione N-E potrebbe aver dislocato il filone stesso.
Tale ipotesi potrebbe essere avvalorata dalla persistenza delle caratteristiche dell'ar-gilla che si mantengono invariate lungo tutto il filone. Soprattutto il fatto che si manten-ga invariata la potenza lascerebbe supporre che sia interrotta da una faglia, essendo logico pensare che nella regione dove la spaccatura avesse il suo termine, i movimenti andreb-bero gradualmente attenuandosi, dando luogo ad una corrispondente variazione dello spes-sore e delle caratteristiche dello strato d'argilla.
Gli anni seguenti furono marcati da una lenta ripresa dell'attività.
Nel 1946 erano accertate circa l00.000 tonnellate di materiale utile, pari a circa 3 anni di vita della miniera e si rimarcava come il futuro della miniera stessa fosse stretta-mente legato all'esito delle ricerche che, vincendo difficoltà economiche e incertezze, erano state proseguite per assicurare un certo avvenire all'attività.
Gli operai addetti all'interno erano 39 mentre quelli addetti all'esterno e all'impian-to erano 111.
Alla fine degli anni '40, segnati da una serie di agitazioni degli operai e da un crollo dei prezzi dei minerali di piombo e zinco, la miniera disponeva di riserve accertate per circa 160'000 tonnellate.
La produzione era di 250 tonn. di grezzo con una resa di mercantile al 12 di cui 2.4 di galena al 60 in Pb e 9.6 di blenda al 58 in zinco.
Le ricerche proseguivano in zona Piata dove era in approfondimento il P. Alda e nel-la zona Podestà dove il nuovo Pozzo Umberto, intestato alla quota -220, aveva raggiunto la massa mineralizzata alla quota -250 e la seguiva in direzione.
Le speranze per la vita della miniera venivano riposte in queste ultime ricerche, sempre più profonde, e sulla possibilità di incrementare il trattamento delle sabbie minerali che costituivano l'arenile prossimo alla miniera.

Anni '50
Gli anni '50, forse per l'incremento dei lavori non sempre seguiti da adeguate misure di sicurezza, iniziavano con una serie di infortuni molto gravi.
Alcuni di tali infortuni sono ben documentati ed è facile ricostruirne la dinamica, altri sono ricostruibili attraverso le testimonianze orali di alcuni operai che in gioventù operarono all'Argentiera, ma spesso non si conosce il nome degli infortunati e non sem-pre è possibile definire l'esito di molti infortuni.

• Ad esempio il 9.3.1950 due operai ripresero lo scavo di un fornello, quando ancora non aveva avuto luogo la sfumata della precedente volata in quanto la base del fornello stesso era parzialmente ostruita da parte del materiale abbattuto.
I due operai subirono quindi un grave infortunio per la mancanza di aria.
Dal rapporto esaminato non è stato possibile risalire al nome dei due infortunati, ne al luogo preciso dell'incidente ne all'esito dell'infortunio stesso.

• Appena due mesi dopo, il 9 maggio 1950, l'operaio MANCA Salvatore, noto Barore, si trovava al livello -220 e si apprestava ad entrare nella gabbia del Pozzo interno Umber-to per recarsi al sottostante livello -250. Appena entrò in contatto con l'intelaiatura in ferro della gabbia, venne colpito da una scarica elettrica restandone fulminato.

 

I nuovi lavori e le ricerche si svolgevano al livello -250 che veniva sviluppato sia ver-so Nord Est sia verso Sud Ovest. Nei cantieri superiori -220, -175, -125 e -75 proseguivano i vari gradini di coltivazione.
Gli sforzi per la ricerca vennero notevolmente intensificati, tanto che anche il livello •220 veniva ripreso nei due sensi per ricercarvi il filone nonostante il parere negativo a tale ricerca chiaramente espresso dagli estensori della citata nota del giugno 1945, pre-disposta per la Direzione Generale della Correboi.
Inoltre in tutti i cantieri venne introdotta la perforazione a umido eseguita con mar-telli perforatori Atlas montati su servo sostegno.
Tale innovazione riduceva solo in parte la elevata polverosità delle lavorazioni che tanto aveva inciso sulla salute dei minatori. Purtroppo non si hanno a disposizione i dati statistici sulla entità dei danni creati dalla silicosi, malattia professionale che nella mi-niera dell'Argentiera ha senza dubbio avuto notevole sviluppo a causa della ricchezza in silice degli ambienti di lavoro.
A scopo di ricerca, negli avanzamenti, erano state attrezzate anche piccole sonde per eseguire fori lunghi sino a 15 metri indirizzati a ventaglio dalla fronte di avanzamento. Tale tipo di indagine consentiva di indirizzare le gallerie nel modo più opportuno.
I trasporti all'esterno, tanto del minerale mercantile verso Porto Torres, quanto dei materiali di ripiena dalla laveria ai fornelli di getto ubicati all'esterno, venivano fatti me-diante autocarri il cui esercizio si era rivelato più economico rispetto ai trasporti su binario.
Relativamente al 1951, si ha notizia di due gravissimi incidenti:

• Il primo avvenne il 16 marzo in un cantiere di coltivazione della zona Piata a causa di un distacco di roccia dalla corona (il primo incidente avvenuto nel cantiere Piata di cui si abbia notizia nei rapporti ufficiali, ma è descritto in termini molto generici).
Nel rapporto si indica: «Il Capo Compagnia, imprudentemente, per effettuare il di-sgaggio dopo la volata, si era disposto, per forzare il blocco da cui fu investito, al di là della zona protetta dall'armamento».
Non si conosce l'esito dell'infortunio.

• Del secondo rimase vittima l'operaio RAVOTTI Mario mentre eseguiva alcuni lavori all'esterno della laveria.
L'infortunio, avvenuto il 2 giugno 1951, è illustrato e descritto da G.F. Madarese.
Dai primi anni '50, al fine di aumentare la produttività dei cantieri, vennero speri-mentati diversi metodi di coltivazione del giacimento e vennero predisposte numerose e interessanti relazioni tecniche le quali, mettendo in evidenza tutte le difficoltà del gia-cimento, confermavano come le caratteristiche del minerale e della roccia incassante fos-sero tali da non lasciare particolari margini nella scelta di metodi di coltivazione alternativi a quelli da sempre adottati con buoni risultati ed in particolare al metodo del «Gradino montante con ripiena al piede».
Le coltivazioni si svolgevano con una certa concentrazione nella cosiddetta «Lente Um-berto» nei livelli più profondi del cantiere «Podestà».
Le ricerche interessarono la possibile estensione della fascia filoniana sia nella zona «Piata» sia nella zona di «Galleria a Mare».
Nella prima, a nord est di Pozzo Alda, veniva individuata, mediante indagini superfi-ciali e rilievi geofisici, la prosecuzione della frattura ospitante il giacimento e la presenza per una estensione di circa un Km dell'argilla che, nella stessa frattura, accompagna sempre il giacimento.
Altre ricerche interessarono la zona a sud della «Galleria a mare» per verificare la possibile prosecuzione in mare del filone già seguito e coltivato in terraferma.
Le indagini vennero intensificate anche nei vari livelli della miniera eseguendovi sondaggi e traverse. Tali indagini avevano come scopo la ricerca di eventuali lenti mineralizzate parallele alla mineralizzazione principale e che si riteneva potessero essere legate ad altre fasce di argilla non conosciute in affioramento.
Nel 1952 iniziò il livello -295 nella lente Umberto mentre le coltivazioni avvenivano nelle più diverse zone della miniera rendendo particolarmente oneroso il mantenimento delle numerose strutture necessario per tenere aperti tutti i cantieri.
I vecchi cantieri Rietto, Calabronis, ecc., coltivati dagli antichi e ripresi in tempi di-versi nel corso della vita della miniera, venivano ulteriormente fatti oggetto di attenzio-ne da parte della Dirczione della Miniera che decideva di ritornare in tali zone coltivate tanto per vedere se il minerale lasciato in posto dalle vecchie coltivazioni fosse economi-camente coltivabile, quanto per effettuare nuove ricerche «a tetto» delle note argille.
Infatti le antiche coltivazioni avevano interessato sempre la zona «a letto» delle ar-gille^ seguendo il concetto che le stesse argille formassero il tetto della mineralizzazione e quindi ne costituissero un limite certo, ma in tempi recenti alcuni ritrovamenti di mi-nerale a tetto delle argille nelle zone intorno a Pozzo Podestà fornivano nuovi indirizzi alle ricerche.
Tutto il grezzo prodotto veniva estratto dai Pozzi Podestà e Alda e, mediante auto-carri, portato in testa alla laveria dove il processo di flottazione era attuato con acqua di mare. Solo negli ultimi passaggi veniva immessa acqua dolce al fine di ridurre la per-centuale di doro a valori accettabili.
Per l'approvvigionamento dell'acqua marina era stata utilizzata sino al 1953 una gal-leria che arrivava sino al mare  e nella quale erano installate le pompe.
Ma il sistema causava diversi inconvenienti per la continuità del rifornimento in ca-so di mare agitato per cui si decise di effettuare un pozzo profondo 4-5 metri, a poca di-stanza dal mare sulla riva sabbiosa, dove l'acqua potesse arrivare per infiltrazione e quindi rendere l'approvvigionamento indipendente dalle condizioni del mare .
Tali anni, segnati da nuovo fervore di ricerca e produzione, vennero però funestati da diversi incidenti mortali.
Relativamente ad alcuni incidenti esistono rapporti dettagliati mentre di altri si co-noscono solo alcuni aspetti tramandati dai vecchi, che si riportano per intero nella pre-sente nota, ma che non hanno trovato riscontro nella scarsa documentazione disponibile per quegli anni. • Gli anziani ricordano i tragici episodi di FOIS Pietro, deceduto dopo essere stato inve-stito da una frana, di COSSU Cheleddu schiacciato dalla gabbia, di ZUNNUI France-sco precipitato in un fornello, di CABULA Sebastiano che, in data 15.11.1953, rimase schiacciato da un vagone contro la parete di una galleria nei pressi di una curva. • Un avvenimento che colpì tutta la popolazione fu il tragico incidente di cui rimase vit-tima il giovane geometra Cavino GAVINI, precipitato all'interno di un fornello mentre eseguiva un rilievo in miniera.
Gli anziani narrano che il giovane, di 25-26 anni di età, molto noto anche perché giocava nella locale squadra di calcio, aveva subito un intervento chirurgico ad una mano e che questa non si fosse ancora completamente ristabilita, impedendogli di sor-reggersi adeguatamente in quell'attimo di disattenzione. A Lui venne dedicato il cam-po sportivo che sorse nei pressi di Cala Onano.
All'esterno, in data 12 febbraio 1953, avvenne il tragico incidente di SARÀ Francesco.


Nella seconda metà degli anni '50, al livello -220 non si avevano più lavorazioni a causa dell esaurimento della zona mineralizzata.
Il livello -220 era ormai adibito solo al trasporto della ripiena e al trasporto del mi-nerale prodotto in zona Piata che dal 1956 veniva trasportato sino al Pozzo Podestà me-diante vagonetti trainati da locomotore.
Sempre nel 1956 veniva scavato il livello -325 che costituiva il punto più profondo della miniera, dove la mineralizzazione andava riducendosi in spessore e sviluppo longitudinale.

Un vecchio minatore racconta un episodio avvenuto in un giorno non precisato del 1956 all'interno della gabbia che, piena di minatori, scendeva lungo il Pozzo Podestà verso il livello -220.
• Ad un giovane minatore sfuggi l'elmetto, che cadde nella canna del Pozzo. La gabbia non era chiusa con cancelli o reti bensì con un'unica sbarra in ferro bloccata con un gancio,  ripresa in altra miniera sarda.
Il giovane minatore tentò istintiva-mente di bloccare la caduta dell'elmet-to allungando una gamba all'esterno del vano gabbia che in quel momento pas-sava davanti ad uno dei tanti livelli col-legati con il pozzo (probabilmente si trattava del -75). Purtroppo la gamba si incastrò e il giovane stava per essere tra-scinato all'esterno e tranciato dalla stes-sa gabbia che continuava il suo percorso verso il basso, quando il minatore Tri-vero Francesco di Mamoiada, con pron-tezza di riflessi, lo afferrò saldamente riuscendo a trattenerlo all'interno del-la gabbia e correndo egli stesso il rischio di essere trascinato fuori.
Il ferito venne riportato all'esterno per essere accompagnato all'ospedale, dove gli vennero riuscontrate alcune fratture.
Gli altri operai, compreso Trivero, raggiunsero i vari cantieri di lavoro. Il Trivero, che lavorava come perforatore nei livelli più profondi della miniera, venne raggiunto un'ora più tardi dall'in-gegnere francese De Feraudy, vice diret-tore della miniera e dal perito minerario Aldo Seno, capo servizio del sottosuolo, che si complimentarono con Lui ringra-ziandolo anche a nome di quel giovane minatore a cui aveva certamente salva-to la vita.
Il Trivero non incontrò più il giova-ne che aveva salvato il quale, una volta dimesso dall'ospedale, lasciò per sempre la miniera.
Episodi come questo, di grande so-lidarietà, sono stati frequenti in passa-to, ma spesso sono poco documentati.

Per mantenere in vita la miniera si eseguivano coltivazioni e ricerche nelle più diver-se zone.
Una idea della vastità della miniera e della distribuzione sparsa dei cantieri in colti-vazione alla fine del 1956 è fornita dal numero, dei livelli praticabili e dei chilometri di gallerie aperte e oggetto di manutenzione: ZONA PLATA: Livelli +45, +5, -35, -75, -105, -140, -220 (non erano più in uso il Pozzo Vec-chio e il Pozzo Piata); POZZO PODESTÀ: Livelli -5, -75, -125, -175, -220; POZZO UMBERTO: Livelli -250, -285, -325; MINIERA VECCHIA (zona alta): Livelli +30, +50.
Nel 1957 gli addetti alla miniera erano ancora circa 320 di cui circa 170 all'interno, 120 all'esterno e 30 impiegati tecnici e amministrativi.

Anni '60 e chiusura della miniera
Gli anni '40 e i primissimi anni '50 furono caratterizzati dall'abile dirczione dell'ing. Olindo Zera, mentre negli anni '50 e sino alla chiusura degli impianti si ebbe il succeder-si di diversi direttori: Ing. Boschetti, Ing. Balbusso, Ing. Moraillon , Ing. Meloni, Perito Minerario Aldo Seno.
Nei primi mesi del 1960 il numero globale degli operai scese a 238 di cui 138 addetti all'interno. Sempre in tale anno la maggior parte della produzione derivava dalla ripresa delle vecchie coltivazioni tra il livello -5 e il livello + 50.
Nei livelli profondi le coltivazioni erano sparse nelle diverse aree e ciò costringeva a tenere aperte numerose gallerie la cui manutenzione diventava sempre più onerosa dal punto di vista economico.
Alla fine del 1961, nonostante la ridotta attività mineraria, nel cantiere di Pozzo Po-destà.avvenne un altro incidente mortale: • L'operaio DESSÌ Darlo, mentre stazionava nella ricetta del livello -175 in attesa del-l'arrivo della gabbia, venne colpito da un grosso chiodo caduto nel pozzo per cause imprecisate.
Non sono stati trovati rapporti dettagliati relativi all'incidente.
—chiusura della galleria di accesso al livello +30 con frana all'imbocco. —chiusura pure con frana all'imbocco della galleria di riflusso della zona Podestà a quo-ta +10, sotto Punta Argentiera. ZONA CALABRONIS —chiusura dei fornelli 17-21-23-25 di approvvigionamento dei cantieri omonimi, secondo la distinzione progressiva dei piani recenti, e di n. 12 vecchi pozzetti di esplorazione con riempimento a sacco con materiale di discarica; —imbocchi delle gallerie di accesso ai livelli +70 e +50 con muro di pietrame a secco di 40 cm. Lo sbarramento al +70 è stato fatto a 7 metri dall'imbocco; quello del +50
è stato effettuato a circa 25 m. dall'imbocco, preservando così il tratto iniziale di inte-resse storico che resta chiuso con cancello.
È stata inoltre ripristinata e irrobustita la recinzione con paletti metallici e trefoli dei vecchi scavi a giorno lungo l'affioramento del filone Argentiera.
Si precisa che non sono stati disposti provvedimenti aggiuntivi di sicurezza e di con-servazione in quanto non ritenuti necessari.
Redatto, letto e sottoscritto in località Argentiera addì 20.1.'64.
Firmato: II Direttore (Per. Min. Sig. Aldo Seno) L'Ingegnere delle Miniere (Alfonso Felici)
Con tale breve atto formale si concludeva la vita dell'Argentiera. Conclusioni
La raccolta e la sintesi del materiale tecnico riguardante la miniera da luogo ad una relazione solo apparentemente fredda e distaccata. Nelle vecchie carte esaminate ho sco-perto il profondo aspetto umano che in miniera si viveva giorno per giorno.
Il provvedimento di chiusura, che non poteva certamente essere accettato di buon grado, fece nascere notevoli resistenze in molti di coloro che abitavano all'Argentiera e che tutt'oggi, nonostante l'età avanzata, vi abitano ancora o vi tornano ogniqualvolta le condizioni lo consentano.
Per cogliere questo forte legame riporto alcune dichiarazioni di operai ed impiegati della società e di persone estranee a questa.
Da un rapporto relativo ad una visita effettuata all'Argentiera da un ingegnere del Distretto Minerario di Iglesias nell'aprile del 1963 si riporta tra l'altro:
«Si sono, poi, ascoltati il parroco, il collocatore della manodapera, l'analista della Correboi ed alcuni operai.
Lo scrivente non ha elementi per dire se la scelta di queste persone sia stata det-tata da precisi motivi (esposti, corrispondenze, ecc.) oppure si sia trattato di una pura scelta casuale.
Da quanto esposto dalle persone suddette e dalle domande poste dai funzionar! dell'Assessorato, si ha il quadro seguente della situazione: in genere, tutti accusano la società Correboi di avere ingiustamente abbandona-to le lavorazioni nella miniera e nei permessi. Rispondendo però a domande più precise e dettagliate, finiscono per ammettere che nella miniera è rimasto solo quel poco minerale che non potrebbe giustificare il mantenimento di una orga-nizzazione complessa e costosa come quella di una miniera.
Si sono citati operai che avrebbero eseguito occultamenti di zone minera-lizzate (ma per ordine di chi?); questi testimoni minatori chiamati, smentiscono ed affermano trattarsi di un equivoco ed anche loro ammettono che, in fondo, quello che può essere! rimasto, di minerale, non compenserebbe le spese per l'e-strazione. Sembrerebbe, cioè, ripetersi quel fenomeno psicologico proprio della gente di miniera, fenomeno che si ripete per ogni dove puntualmente in occasio-ne di chiusura delle miniere: una specie di reazione collettiva all'evento temuto e poi attuatesi, reazione che porta tutti ad elaborare fantasticherie di ogni gene-re. Portati, però, a seguire un ragionamento logico — con precise domande — finiscono, poi, per considerare le cose da un punto di vista più reale».
Si alimentarono sospetti anche nei confronti dei tecnici incaricati di eseguire le pre-scrizioni del Distretto Minerario per poter materialmente chiudere tutti gli accessi al sot-tosuolo.
All'atto della chiusura, il Direttore dei Lavori era il Perito Minerario Aldo Seno che lavorava nella miniera da circa 30 anni e ne conosceva tutti i particolari e tutti i segreti.
Ho conosciuto il signor Seno, persona molto seria e, a detta dei tecnici del tempo tra i quali anche mio Padre, tecnico molto capace e innamorato del proprio lavoro.
Credo che la chiusura della miniera sia stata per Lui un motivo di grande tristezza significando anche la fine della sua attività lavorativa e dell'impegno professionale.
Le difficoltà della miniera emergono nelle relazioni di tutti i periodi: probabilmente solo nei primi anni del '900 si avevano riserve conosciute per poter programmare la mar-cia della miniera per un certo numero di anni. Successivamente, problemi legati a diffi-coltà di ricerca, di mercato, di trasporti e fermate di varia natura condizionarono periodicamente l'attività mineraria.
Oggi è possibile, con assoluta serenità, ricostruire le motivazioni che circa 35 anni orsono hanno condotto alla chiusura della miniera.
L'esame della documentazione evidenzia il progressivo esaurimento del giacimento verso il basso e l'aumento notevole dei costi che la miniera doveva sostenere con l'appro-fondirsi dei lavori, spese non compensate da positive variazioni del prezzo dei metalli.
Tutte le ricerche effettuate ai livelli superiori mediante sondaggi e gallerie al fine di reperire eventuali fasce mineralizzate parallele alla mineralizzazione principale, fal-lirono.
Si progettò una ricerca verso il mare e sotto il mare ipotizzando lo scavo di un pozzo profondo 55-60 metri, nei pressi della «Galleria a mare» alla quota +10, e, dalla base di esso, il tracciamento di una galleria nel filone, sotto il mare, verso ponente.
La ricerca non venne mai effettuata anche per il rischio che tali lavori avrebbero com-portato.
Altre ricerche, effettuate a nord della zona Piata, rinvennero la prosecuzione della nota fascia argillosa, ma all'argilla stessa non si accompagnava la mineralizzazione.
Anche i dati riportati su varie note geo-minerarie ed economiche elaborate a cura di tecnici di diverse nazionalità e in tempi diversi forniscono quel quadro complessivo molto difficile che doveva sfociare nella chiusura della miniera.
Purtroppo in Sardegna, quando una miniera chiude, si tratta della chiusura di un piccolo mondo che ha interessato diverse generazioni.
Il momento emotivo è forte e tanto più lo è stato all'Argentiera dove nel corso del tempo si era venuta a creare una comunità quasi completamente staccata dal resto del-l'isola. Infatti, in termini di collegamento con il mondo esterno, poco era cambiato in cir-ca un secolo di attività mineraria dal lontano viaggio di Quintino Sella in Sardegna che nel 1869 lo portò anche all'Argentiera e che Eugenio Marchese, che lo accompagnava, descrisse nel suo libro «Quintino Sella in Sardegna»:
«... scendemmo a poco a poco sulla landa deserta che è frapposta a Sassari e al gruppo montuoso della Murra, che forma l'estremità nord-ovest dell'isola.
Questo tragitto si può fare in sei o sette ore di cavallo, quando il cavallo non • si allenta per la strada. Ed è perciò che eravamo partiti verso la una pomeridia-na onde arrivare all'Argentiera verso il calar del sole».

I particolari del viaggio erano stati curati da un professore del Liceo di Sassari che però non aveva calcolato al meglio i tempi di percorrenza che si erano notevolmente al-lungati a causa di frequenti fermate. ^^™
Soltanto verso le ventidue e trenta la comitiva arrivo al piccolo Porto della miniera da dove...
«una folla di lumi da minatore si muoveva incontro verso di noi, da tante ore aspettati inutilmente». • j-1 •
L'accoglienza fu cordialissima oltreché singolare per quella processione di lumi a pendolo, la quale ci seguiva su per la strada che metteva alla casa della Direzione; casetta molto modesta, quale si conveniva ad una miniera poco più che incipiente, e in questo estremo lembo dell'Isola.
La tavola era imbandita, e ad essa sedemmo oltre il Sella ed i compagni di viag-gio gli ingegneri, gli impiegati della miniera ed i capi minatori, in tutto forse una ventina. Gli ingegneri erano belgi: tutti gli altri italiani; e un'animata con-versazione in francese, con affioramenti locali di italiano e di piemontese, tenne vivo il brio di quella notturna riunione di minatori».
Il giorno successivo venne effettuata una minuziosa visita in miniera il cui punto ne-vralgico, a quei tempi, era la galleria Calabronis.
Visitati i lavori antichi e nuovi, si proseguì pel monte, lungo le tracce dell'affio-ramento, fin sull'estremo alto promontorio che confina a picco con il mare Me-diterraneo, e che forma la sporgenza più occidentale dell'Isola».
Dopo una serie di considerazioni sul mare come grande via dell'umanità e al quale si deve il rapido propagarsi delle civiltà antiche, di cultura e di scienza, il Marchese prosegue:
«A malincuore ci allontanammo dall'attraente spettacolo del mare. Il tempo in-calzava Ridiscesi alla casa della miniera, e fatta una colazione sommaria, ci ri-mettemmo a cavallo per ritornare verso levante, dirigendoci pero questa volta, non già verso Sassari, ma verso Porto Torres».
Verso la fine del secolo i collegamenti con l'Argentiera erano sempre difficili come si rileva da un rapporto del 1896 dell'ing. Bertolio del Distretto Minerario di Iglesias, che incaricato di una ispezione ordinaria alla miniera, segnalava che dopo un lunghissi-mo viaggio in treno da Iglesias a Porto Torres, impiegò altre quattro ore e mezza per per-correre a cavallo una strada mulattiera che collegava Porto Torres alla miniera stessa.
Nel maggio 1951, il tempo di percorrenza dei 250 chilometri che separano 1 Argentiera da Iglesias era, con i mezzi pubblici allora esistenti, di oltre 12 ore come si rileva da uno scritto che mio Padre, appena giunto all'Argentiera, inviò a mia Madre dandole indicazioni per il viaggio.
Ricordo che, ancora nei primi anni '60, la miniera era collegata a Sassari con un una «Corriera» che partiva la mattina alle ore 6.00 dalla zona del «Dopolavoro» e raggiungeva Sassari solo dopo due ore a causa della strada parzialmente dissestata.
Il pomeriggio, alle ore 16.00, la stessa «Corriera» guidata dall autista Franco Tinti ripartiva da Sassari, zona Emiciclo, alla volta dell'Argentiera dove giungeva alle ore 18.00.
I 40 chilometri di strada che separano l'Argentiera da Sassari furono asfaltati solo dopo la chiusura della miniera.
Questi aspetti dimostrano come la chiusura di quest'ultima non rappresentasse la semplice fermata di un impianto industriale, ma venisse vissuta dagli abitanti dell Ar-gentiera come lo smantellamento dell'intera comunità che si era sempre più radicata in-torno alla miniera stessa. . ,
Questa sensazione forte, seppure con motivazioni diverse da quelle di chi vi lavorava, la avvertii io stesso pensando a tanti giovani Amici che, probabilmente, non avrei mai più incontrato.
Oggi che il sito minerario tende a rivitalizzarsi nel periodo estivo con l'arrivo di nu-merosi turisti, ritengo importante che questi, oltre alla bellezza del paesaggio e del ma-re, possano cogliere gli aspetti caratterizzanti della attività mineraria che si svolse in quel sito e l'entità dei lavori effettuati da tecnici e maestranze per assicurarne lo sviluppo per oltre un secolo.
Mi auguro che le principali strutture minerarie esterne ancora indenni da manipola-zioni vengano salvaguardate e valorizzate in analogia a quanto avviene nei paesi più civi-li e che il ricordo della attività mineraria e di coloro che vi persero la vita, resti sempre presente nella borgata. A tal fine spero che venga studiata una appropriata toponomasti-ca che tenga conto di questi fondamentali aspetti, perché le generazioni future possano più facilmente comprendere il grande sacrificio e la millenaria cultura espressa da quel piccolo mondo minerario ormai scomparso.
 

 

LUCIANO OTTELLI





 

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