Castelmeteo. Un sito dedicato a Castelvetro di Modena, meteorologia, arte, gallerie di foto antiche, moderne e la storia dell'antica fornace. A cura di Vinicio Cavallini
I LUOGHI
Il riferimento ai posti tipici é rimasto nella mia memoria come una serie di 
password che identificano soltanto la mia miniera e che sono note soltanto alla 
gente di miniera. Dell'Argentiera intendo! Nella vita di tutti i giorni 
utilizzavamo ovviamente il nome di questi posti perché come ho già detto non 
esistevano vie ma talvolta usavamo il nome delle persone quando quello della 
località non bastava ad individuare esattamente il posto dove dovevamo recarci. 
Proverò a descrivere questi posti così come li ho in memoria, secondo la 
direzione che va dal monte al mare ma anche quella della strada per Sassari.
MINIERA VECCHIA
Era, come si capisce dal nome, la parte più antica della miniera dove vivevano 
esclusivamente famiglie di operai. Il suo nome dipendeva dal fatto che le prime 
gallerie per la ricerca e l'estrazione del minerale furono fatte lì. Ancora oggi 
ci sono degli scavi che risalgono al tempo dei Romani. Era abbastanza lontana 
dal centro e per questo motivo noi andavamo molto di rado. Le case erano tutte 
basse, caseggiati lunghi e stretti divisi in genere in tre parti, in ognuna 
delle quali viveva una famiglia.Quando penso a Miniera Vecchia mi vengono sempre 
in mente i gabinetti fuori delle abitazioni. Sì perché quando ero piccolo le 
case degli operai non avevano il gabinetto all'interno ma in una casupola 
all'esterno separata dalla casa di quattro o cinque metri. Questa casupola era 
uguale per tutti, così si capiva subito che era il gabinetto, ed aveva la forma 
di un parallelepipedo orizzontale con le facce piccole arrotondate come fossero 
dei vespasiani che allora si vedevano in città. Non c'era altro a Miniera 
Vecchia: oggi si sarebbe chiamato un quartiere dormitorio.
PIAZZA CANTINA
Scendendo lungo l'unica strada che portava in direzione della piazza si trovava 
il caseggiato della mensa operai che serviva solo per gli operai scapoli che non 
avevano una loro abitazione e che quindi per i pasti principali si recavano lì. 
Naturalmente anche in questo caso vigeva la regola della distinzione tra le 
classi sociali. C'erano anche alcune case di operai, forse di quelli che 
servivano per il funzionamento della mensa. Poche decine di metri più giù c'era 
la scuola elementare ( dove giocavamo a garicio ),l'unica della miniera e poi la 
piazza della cantina attorniata dalle case. Oltre agli appartamenti ubicati 
proprio sulla cantina dove stavamo noi e i vicini che ho già citato, c'erano 
altre case , alcune delle quali erano formate dal piano terra e dal primo piano 
come la casa dove abitava la famiglia Mura. Al primo piano abitava un'altra 
famiglia che accedeva alla casa dal retro sfruttando la pendenza del terreno. 
Della casa dei Mura mi ricordo le sfide infinite al gioco delle cinque pietre 
perché davanti alla porta d'ingresso c'era un piccolo pianerottolo rialzato di 
due o tre gradini nel quale si riusciva a trovare la posizione ideale per 
giocare.Sulla collina che sovrastava la cantina, dove noi andavamo spesso a 
cercare "cozzighine" ossia pezzi di legno secco da utilizzare nel caminetto, 
correva una stradina che veniva percorsa dai camion che andavano a scaricare lo 
sterile in una tramoggia. Era un punto abbastanza pericoloso almeno per i 
bambini per cui mamma ci avvertiva sempre di stare particolarmente attenti. 
Evidentemente gli avvertimenti erano così forti che quando mi operarono alle 
tonsille e mi fecero l'anestesia totale, sognai di cadere in quella tramoggia e 
di rimanere impigliato in una grata che mi stringeva la gola e che mi soffocava. 
In questa stessa collina una volta mi accadde una cosa curiosa che dopo fu 
sempre motivo di grandi risate quando la ricordavamo. Mamma un giorno mi disse 
che dovevo andare dalla signora Piredda a La Plata a comprare delle uova. La 
Plata era distante e la cosa mi scocciava un po'. Quando uscii da casa e 
m'incamminai verso la casa di zia Speranzica sentii una gallina che faceva "coccodé, 
coccodé" e perciò pensai che forse aveva fatto l'uovo. La seguii mentre si 
allontanava e dopo un po' vidi che si fermava in un cespuglio; attesi finché la 
gallina se ne andò e guardai all'interno del cespuglio: con mia grande sorpresa 
vidi una quindicina di uova! Tutto contento per la strada che avrei risparmiato, 
mi presi le uova, me ne tornai a casa e le diedi a Mamma senza dire niente. 
L'indomani mattina sentimmo la moglie di signor Zannin che gridava adirata e 
parlava di certe uova che le avevano rubato. Questa signora era gallurese e 
parlava in maniera strana un po' di suo e un po' perché ormai mischiava il 
gallurese con il veneto che era la lingua del marito; quando Mamma riuscì a 
calmarla e a farle spiegare quale fosse il problema, si scoprì che lei si 
lamentava perché qualcuno aveva rubato le uova che alcune sue galline solevano 
fare in un cespuglio che c'era un pochino più su di casa sua e che lei andava a 
raccogliere ogni paio di giorni. Credo che mamma capì subito che quelle dovevano 
essere le uova che avevo portato io, perché si era meravigliata, pur senza 
chiedermi spiegazioni, del fatto che avevo fatto in fretta ad andare a La Plata 
e tornare. Non ricordo se le uova le avevamo ancora o se Mamma le avesse già 
utilizzate: credo che poi in qualche modo avesse restituito a signora Zannin il 
maltolto.
Dopo la cantina, lungo la strada si trovava la curva del compressore e poi si 
scendeva verso la piazza. Sulla sinistra, in alto, c'era il piazzale che dal 
pozzo Podestà arrivava fino alla Laveria e lungo il quale correvano i binari dei 
carrelli per il trasporto del minerale. Oltre la laveria si andava a Bella Vista 
dove c'erano le case di sig. Peru e di sig. Col. 
Sulla strada principale, prima di arrivare in piazza, c'era la casa di sig. Seno 
e poi la caserma della guardia di Finanza.
Questa strada mi piaceva molto perché ai suoi lati si trovavano molti cespugli 
di lentischio le cui bacche avevano un profumo ed un sapore a me molto gradito. 
Tante volte ritornavo a casa con la bocca nera perché lungo strada mi facevo 
belle mangiate di queste bacche. 
All'imboccatura della piazza, sulla destra c'era una stradetta che fiancheggiava 
la villa del direttore ed arrivava fino all'albergo scapoli per gli impiegati 
che comprendeva anche la mensa impiegati, mentre sulla sinistra si entrava in 
piazza e proseguendo invece dritti si trovava a sinistra l'officina di Nonno e 
sulla destra la casa di sig. Serpillo, quella di sig. Ceraulo di giù e quella di 
sig. Tinti che poi risultava sotto la nostra che aveva accesso invece dalla 
strada principale. Poi la Laveria con il ponte levatoio e il macellaio con la 
fabbrica del ghiaccio e di fronte il verduraio sig. Pazzola. Si trovava poi il 
magazzino e, poco più in là, il mare. Nello spiazzo del magazzino si 
affacciavano anche i silos nei quali si immagazzinava il minerale in attesa di 
essere caricato sui vagoncini che poi venivano spinti sino al ponte.
LA PIAZZA
Era il centro nevralgico della miniera: tutte le strade partivano da lì o se 
volete arrivavano lì. C'erano gli uffici della Direzione e quelli principali sia 
amministrativi che tecnici dove venivano prese le decisioni importanti. Vi si 
affacciavano la casa del Direttore, la casa del dott. Serra, la casa di sig. 
Ottelli, quella di sig. Villaminar, gli uffici della Guardia di Finanza e 
l'abitazione del comandante, l'ufficio postale e l'abitazione dell'ufficiale 
postale, il circolo impiegati, il dopolavoro operai, il rifornitore del 
carburante, l'officina per il ricovero e le riparazioni della macchina del 
Direttore, il bar di Leonino Tosi, la latteria di zia Dassu, il tabacchino con 
il posto telefonico pubblico di sig. Lubino e poi di sig. Gaia, e il barbiere. 
Quando ero piccolo c'era anche la chiesa in legno. Quando ero più grande c'era 
anche un peso che serviva per pesare i camion che uscivano carichi di minerale 
per andare a Porto Torres. Vicino al peso c'era il rifornitore per i carburanti 
che serviva per i camion: era bellissimo perché era costituito da due cilindri 
in vetro uno dei quali si riempiva quando l'altro si svuotava e viceversa. Tutto 
questo con una pompa manovrata manualmente dall'addetto. 
In piazza si svolgeva la festa in onore di S. Barbara, protettrice dei minatori, 
che si effettuava sempre in estate anche se S. Barbara cade il 4 dicembre.
Al centro c'era un pennone alto all'incirca una ventina di metri che, dicevano, 
fosse in origine l'albero maestro di un veliero di quelli che venivano per 
caricare il minerale e che si era infranto sugli scogli perché non era riuscito 
ad allontanarsi dalla baia con il mare in burrasca.
Dalla piazza partiva la corriera per Sassari e lì arrivava la sera al rientro.
Lungo la strada che porta a Sassari, partendo dalla piazza, si trovava la casa 
del calzolaio sig. Massetti, quella di sig. Gabbi e poi la nostra "di giù" che 
era stata la casa di sig. Desole. Poco più avanti c'era l'infermeria, terrore di 
noi bambini perché quando andavamo lì significava che non stavamo bene ma anche 
perché lì ci toglievano i denti cariati. Un'operazione terrificante, almeno per 
noi bambini, perché alla paura atavica che ancora oggi si ha per il dentista, si 
aggiungeva quella generata dal fatto che il dottore, ma più spesso l'infermiere 
sig. Pala, ci faceva sedere su una poltroncina da ospedale, si metteva davanti a 
noi a disinfettare la pinza da utilizzare per l'estrazione, sterilizzandola alla 
fiamma di un becco bunsen, per poi ordinarci di aprire la bocca e di star fermi! 
La fase di sterilizzazione al becco bunsen era veramente terribile; io speravo 
che quella fase non finisse mai e poi vedevo come una espressione sinistra e 
particolarmente sadica nel volto di sig. Pala mentre faceva questa operazione 
quasi come se godesse a vedere il nostro viso sicuramente terrorizzato!
Non credo che realmente sig. Pala godesse del nostro terrore, perché era una 
persona buonissima, ma in quei momenti anche il tono scherzoso che usava, 
probabilmente per sdrammatizzare la situazione, sembrava un prenderci in giro 
per il fatto che avevamo paura.
Dopo l'infermeria, ma sul lato opposto, c'era il cinema, proprio al centro di 
una curva, detta appunto la curva del cinema.
Passare in quella curva nei giorni di maestrale era veramente un'impresa, perché 
nel primo tratto la forza del vento non ti faceva avanzare, mentre passata la 
mezzeria della curva quello stesso vento te lo ritrovavi alle spalle e ti faceva 
correre come un fuscello! Tante volte qualcuno che mi vedeva si metteva a ridere 
e mi diceva di riempirmi le tasche di pietre prima di passare lì quando c'era il 
maestrale. Ciò in quanto sono sempre stato molto magro e quindi leggero.
IL CINEMA
Quante emozioni quando si andava al cinema! I film che da bambini vedevamo più 
spesso e che ci piacevano di più erano quelli di Jerry Lewis e i film western ma 
anche quelli di Francis il mulo parlante.
Nella parte posteriore rispetto alla sala per gli spettatori c'era la cabina di 
proiezione nella quale qualche volta mi era capitato di andare e dove avevo 
potuto vedere tutto il meccanismo attraverso il quale si riusciva a vedere il 
film. La cosa incredibile era che l'operatore doveva stare particolarmente 
attento affinché due carboncini incandescenti, tra i quali scoccava un arco 
elettrico che forniva l'intensità luminosa necessaria alla proiezione, non si 
avvicinassero troppo tra di loro perché altrimenti il calore sarebbe stato 
troppo forte e si sarebbe bruciata la pellicola. Questo in realtà avveniva 
spesso e mentre si guardava il film, all'improvviso si vedeva nello schermo il 
formarsi di una bolla che diventava sempre più grande fino a quando si spegneva 
tutto e s'interrompeva l'audio. Si aspettava un bel po' di tempo in attesa che 
l'operatore riparasse la pellicola e ricominciasse a fare la proiezione.
Non ricordo se anche al cinema ci fosse la divisione dei posti secondo le classi 
sociali. Suppongo di si.
LA PLATA
Dopo il cinema, sulla destra, c'erano le case dei Tosi e di Sig. Mannu; poco più 
in là Uldank e Mario Pala. Eravamo a La Plata dove abitava Nonno e dove noi 
andavamo spessissimo.
Quando ero più piccolo tra la strada principale e la casa di Nonno c'era un 
avvallamento nel cui fondo scorreva un piccolo ruscello che sfociava sulla 
spiaggia dove c'era anche una sorgente chiamata di S. Lucia. In seguito questo 
avvallamento fu riempito di minerale sterile e in questo modo si formò uno 
spiazzo abbastanza grande per cui la casa di Nonno risultò essere praticamente 
sulla strada.
A La Plata c'erano molte case tutte fatte come quelle di Miniera Vecchia nelle 
quali abitavano quasi esclusivamente famiglie di operai. Tante persone che 
abitavano lì frequentavano la casa di Nonno anche per le amicizie di Zietta e 
Zia Antonietta con le figlie degli altri operai. C'erano molti algheresi, ognuno 
dei quali aveva la barca, che naturalmente tra di loro parlavano in catalano 
anche per non farsi capire dagli altri.
Nella parte alta c'era la chiesa e un po' più su la villa amministratori, così 
chiamata perché ospitava i vari capi in testa della Società quando venivano a 
fare dei controlli o a trascorrere un periodo di vacanza per andare a caccia nel 
territorio della miniera che era molto vasto e che era riserva di caccia. 
Alla fine di La Plata c'era l'albergo scapoli per gli operai e poi più su 
abbastanza oltre le case c'era l'ingresso del pozzo Alda che normalmente però 
chiamavamo pozzo Plata. La strada poi saliva con una discreta pendenza, con due 
curve abbastanza pericolose e poi un rettilineo di duecento metri circa alla 
fine del quale si arrivava al serbatoio dell'acqua e poi a Calaonano. 
Sia a La Plata che a Calaonano c'erano anche delle case popolari nelle quali 
abitavano probabilmente le famigli più bisognose. Quelle di La Plata si 
chiamavano "Case Fanfani".
Attraversato Calaonano, la strada ridiscendeva, dopo diverse curve c'era il 
bivio per il cimitero e poi Porto Palmas. Qui non c'erano abitazioni ma solo un 
caseggiato con le pompe elettriche che sollevavano l'acqua di alcuni pozzi e la 
immettevano nell'impianto idrico. Anche questo, naturalmente, era della società; 
non avevamo infatti l'acquedotto pubblico.
La spiaggia di Porto Palmas era bellissima; noi però ci andavamo molto raramente 
perché era troppo lontana dal centro e con la strada che per metà trovavamo in 
salita sia all'andata che al ritorno.
Anche in mare c'erano tanti posti particolari che caratterizzavano il linguaggio 
e i modi di dire: la spiaggia del minerale, dove venivano scaricate le acque di 
lavaggio del minerale e che era ricoperta di uno strato abbastanza spesso di 
fango minerale. Il ponte, la spiaggia principale, l'angolino, il ponte vecchio 
con la roccia del trampolino. Presso questo ponte venivano ormeggiate le barche 
degli operai che erano anche pescatori. Non sempre però, perché quando si 
metteva maestrale bisognava correre là per mollare gli ormeggi e tirare le 
barche a terra. Questa operazione era per noi divertente perché per fare 
strisciare le barche nel tratto di sabbia si usavano dei tacchi di legno da 
mettere sotto la chiglia che dovevano essere presi non appena uscivano dalla 
poppa per portarli subito a prua e consentire così che sotto la chiglia ce ne 
fossero sempre almeno tre senza far fermare la barca in quanto altrimenti 
sarebbe stato faticoso ogni volta sollevarla per mettere sotto i tacchi e farla 
ripartire. oltre il ponte vecchio, lungo la costa si trovava l'isolotto e poi 
quello spettacolo meraviglioso che era ed é il Lago delle Vergini. Proseguendo, 
si arrivava poi alla Banderetta dove però si poteva andare anche da un'altra 
strada.
Sulla parte sinistra della baia, guardando il mare, c'era la grotta dei 
piccioni, la grotta del diavolo, le Vasche e l'Ancora. Questo posto era chiamato 
così perché c'era l'ancora di un bastimento, di quelli che venivano a caricare 
il minerale, che si era infranto sugli scogli, ormai saldata ad una roccia. 
Proseguendo si trovava l'isolotto di sinistra e poi il Tramaritto, Galleria a 
mare, così chiamata perché lì ad una trentina di metri sul mare sbucava una 
galleria ed infine Punta Argentiera che é importante in quanto é il punto più a 
ovest della Repubblica Italiana sul mare.
Tutte le località che ho indicato sono quelle che frequentavamo abitualmente, 
molte delle quali non erano facilmente accessibili ma noi che eravamo del posto 
ci arrampicavamo da per tutto come le capre e perciò non incontravamo 
particolari difficoltà. Ricordo che una volta venne a stare a casa per qualche 
giorno Gianni Isu, un mio compagno di scuola dell'industriale la cui famiglia 
abitava ad Ingurtosu, e un giorno lo volli portare all'Ancora per fargli vedere 
il posto che é molto bello ma non lo vide perché ebbe paura a scendere in un 
punto particolarmente scosceso!
CALAONANO
In questa parte della miniera c'erano esclusivamente case degli operai che, data 
la distanza dal centro, risultavano un po' fuori mano e quindi la zona era poco 
frequentata, almeno da noi.
Era il classico quartiere dormitorio dove non veniva effettuata alcuna attività 
e che dopo l'abbandono della chiesa, per via della costruzione di quella ancora 
esistente, perse definitivamente l'unica ragione, almeno per noi, per la quale 
ci si recava là.
 
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